Può allenarsi con i suoi amici durante la settimana. Anche perché i genitori pagano la retta. Ma non fare parte della squadra che sfida i coetanei nelle partite del weekend. L’allenatore non lo co...
Può allenarsi con i suoi amici durante la settimana. Anche perché i genitori pagano la retta. Ma non fare parte della squadra che sfida i coetanei nelle partite del weekend. L’allenatore non lo convoca. Il motivo? Secondo la mamma Virginia «non lo considerano all’altezza». Una storia incredibile che arriva da Torre del Greco e riguarda un bambino di appena sei anni, costretto a stare a casa mentre gli amici si divertono in campo.
Una situazione che ha scatenato la rabbia della madre che qualche giorno fa ha cominciato ad affiggere striscioni in strada per sensibilizzare i responsabili della scuola calcio e i genitori degli altri piccoli bambini. Tutto è cominciato qualche mese fa quando il piccolo Matteo (nome di fantasia) decide di provare il gioco più amato del mondo, lo sport che fa sognare milioni di persone, grandi e piccini: il calcio. Il piccolo tifa Napoli e sogna di diventare come i suoi eroi del pallone. Così, dopo aver avuto il consenso dei suoi genitori, il piccolo viene accompagnato dalla mamma per un provino in una scuola calcio della zona Ginestra, a Torre del Greco. Matteo viene preso in squadra – o meglio i genitori pagano la retta per le lezioni – e inizia a fare gli allenamenti insieme ai suoi compagni e amici. Tuttavia, proprio dal primo weekend iniziano i problemi. Il mister convoca gli altri 8 bambini della sua squadra per la prima partita della stagione, ma lascia a casa Matteo.
Poi, il lunedì di nuovo gli allenamenti normali e nel fine settimana succede di nuovo la stessa cosa: tutti convocati tranne Matteo, che inizia a sentirsi deluso ed escluso. Il piccolo si sente il venerdì con i suoi compagni di squadra e il sabato non va a giocare. Una storia che si ripete per diversi mesi, Virginia, la mamma di Matteo, decide di andare a parlare con la scuola calcio per capire cosa sta accadendo. Ma è proprio allora che arriva una risposta sconcertante dalla società: «Le partite le dobbiamo vincere, purtroppo Matteo non riesce a stare al passo dei compagni», l’incredibile giustificazione. Così, Matteo, come racconta la mamma, ogni sabato indossa il completino e gli scarpini per scoprire che resterà a casa. Non può raggiungere i suoi compagni di squadra perché non è “all’altezza”. «Una situazione vergognosa e che fa male – dice Virginia – non posso credere che, questa società continui a escludere un bambino di sei anni solo perché non è forte. Io capisco che mio figlio non è un fenomeno, ma di certo non deve essere escluso.
Fortunatamente non ha problemi motori o fisici, ma se ce li avesse, come si dovrebbe sentire un bambino? Non cambio squadra perché lì ci sono i suoi amichetti, ma ora inizio a pensare che si devono solo vergognare tutti. Gli altri genitori non dicono nulla per difendere un bambino e la società continua a lasciarlo a casa. Ma noi non ci fermiamo». Virginia, infatti nei giorni scorsi ha addirittura affisso degli striscioni all’esterno della scuola calcio, proprio per sensibilizzare la società e gli altri genitori. Lo ha fatto per far capire che, una partita vinta non vale il dolore di un bambino escluso dalla squadra, lasciato a casa nei giorni delle partite: «Vergogna, eliminare un bambino dalla squadra solo perché ritenuto poco capace. L’omertà, il silenzio sono la vergogna di questa società», recita uno degli striscioni affissi da Virginia.