Blitz a Gragnano colpo al clan Di Martino, sette indagati, un indagato a piede libero. E’ il bilancio dell’ultima operazione dei carabinieri del nucleo investigativo di Torre Annunziata, e della c...
Blitz a Gragnano colpo al clan Di Martino, sette indagati, un indagato a piede libero. E’ il bilancio dell’ultima operazione dei carabinieri del nucleo investigativo di Torre Annunziata, e della compagnia di Castellammare, che, coordinati dalla direzione distrettuale antimafia, hanno ricostruito gli affari del clan Di Martino, la cosca egemone nell’area dei Monti Lattari. A finire in manette il fratello di Leonardo Di Martino, alias o’lione, padrino e storico fondatore della cosca attualmente in regime di casa lavoro, Giovanni Di Martino, 70 anni, e i suoi figli, Antonio, 32 anni e Francesco di 29 anni. Sono finiti in carcere anche Aniello Torta, 25 anni, Vincenzo Scala, 19 anni e Giovanni Afeltra, alias “zizza mmocc”, 57 anni. Indagato a piede libero A.F., 54 anni. Le accuse per i sette sono, a vario titolo, di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, porto abusivo d’armi, furto di energia elettrica e acqua, ed estorsione. Reati a cui l’antimafia contesta anche l’aggravante delle finalità e le modalità camorristiche. Per la precisione sono due le inchieste differenti condotte dall’Antimafia (sostituto procuratore Giuseppe Cimmarotta) e le ordinanze di custodia cautelare eseguite: una, quella relativa al traffico di droga (gip Chiara Bardi), condotta dal nucleo investigativo di Torre Annunziata, e l’altra (gip Federica De Bellis, condotta invece dai carabinieri della compagnia di Castellammare, su alcuni episodi estorsivi. I carabinieri sono entrati in azione la scorsa notte, utilizzando anche un elicottero. Nell’ambito delle perquisizioni, proseguite fino a tarda mattinata, i militari hanno rinvenuto diversi nuovi elementi investigativi e sequestrato un’ingente quantità di denaro in contanti, probabilmente proventi da attività illecite. Un’operazione che ha ancora una volta dimostrato l’esistenza da una parte dell’operatività della cosca che da quasi 40 anni detta legge sul territorio di Granano e nelle zone limitrofe, mentre dall’altra l’omertà dettata dalla paura degli imprenditori vittime delle estorsioni, e i rapporti «grigi» che li legano al clan Di Martino. Il traffico di droga «Purtroppo il Faito è una bestemmia buttata, stanno sempre gli stessi personaggi». Tra le 32 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare eseguita la scorsa notte dai carabinieri del Nucleo investigativo di Torre Annunziata emerge anche questa frase pronunciata dall’imprenditore titolare di un casolare abbandonato al cui interno era stata montata una serra per la coltivazione di marijuana (In questo filone d’indagine sono indagati Giovanni Di Martino e i suoi figli, Antonio e Francesco, Aniello Torta e Vincenzo Scala). Siamo sul versante della montagna di Vico Equense, nel pieno della scorsa estate. I carabinieri, situati in posto di blocco, notano uno scooter con a bordo due giovani, uno dei quali con in braccio un fucile a canne mozze. Alzano la paletta ma il conducente non si ferma all’alt e urta anche l’auto di servizio, per poi darsi alla fuga. I due vengono riconosciuti ed arrestati. Uno di questi era Antonio Di Martino. Da questo episodio i carabinieri iniziano a montare l’inchiesta. I militari effettuano così un sopralluogo in un ristorante in disuso e abbandonato da anni, dove era stata allestita apparentemente solo una stalla per cavalli. Immediatamente notano però degli allacci abusivi che collegano il casolare a delle centraline della corrente e dell’acqua pubblica. Entrano nel locale e si accorgono subito, anche dall’odore acre, che all’interno era stata montata una serra dove erano coltivate 150 piante di marijuana, alte circa un metro. I militari trovano di tutto: un sistema perfettamente collaudato per l’irrigazione, l’illuminazione, e la ventilazione della piantagione, vasi, terriccio, concime, e tutti gli arnesi necessari alla coltivazione. Gli 007 si fermano e montano delle telecamere per approfondire la situazione. Nel corso dei giorni successivi scorgono e riconoscono i cinque indagati finiti in manette, che a turno si prendono cura della piantagione. I carabinieri continuano così ad effettuare dei sopralluoghi sul casolare. Azioni che vengono notate anche dagli indagati che, accorgendosi delle intrusioni all’interno del casolare, ma ignari dell’operato delle forze dell’ordine, affiggono un foglio all’ingresso della struttura a scopo intimidatorio con la scritta: «Fatti gli affari tuoi, vedo che sei interessato, se hai qualche intenzione toglitela, mi raccomando, non fare str… ti conosco…». I monitoraggi continuano e gli indagati, continuamente registrati dalle forze dell’ordine, cominciano a smontare la piantagione. I carabinieri effettuano diversi sopralluoghi, l’ultimo, il 30 luglio, questa volta in compagnia dell’imprenditore – non indagato – titolare del casolare abbandonato. Quest’ultimo viene messo sotto intercettazione e dalle sue telefonate e messaggi si scoperchia il vaso di Pandora. L’uomo è intimorito perché «ha paura di passare un guaio». Nel frattempo contatta il fratello, che chiede ad Antonio Di Martino di portare immediatamente via i cavalli che aveva posto nella struttura e, durante le telefonate, secondo gli agenti del nucleo investigativo, avrebbe fornito delle informazioni al «fine di mettere in guardia i Di Martino sulle attività investigative». Da questo scenario ricostruito il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Napoli, Chiara Bardi, dà il via libera agli arresti per la gravità indiziaria relativa ai capi di imputazione per la cessione e la detenzione di sostanze stupefacenti, il porto abusivo d’armi contestato al solo Antonio Di Martino, e al furto di energia e acqua per un danno complessivo di 70mila euro. Il Gip ha però respinto le gravità indiziarie relative alla contestazione dell’agevolazione e sul metodo mafioso e l’esigenza cautelare per il reato di estorsione per la vendita forzata del casolare in disuso. Le estorsione Nell’altra ordinanza di custodia cautelare, e nel quale è coinvolto il 57enne Giovanni Afeltra sono ricostruiti 3 episodi estorsivi. L’inchiesta dell’antimafia è nata dal ritrovamento di un «libro mastro» nella casa di Annamaria Molinari, moglie di Leonardo Di Martino, nel quale sono indicati, secondo gli investigatori, tutti i nomi degli imprenditori che versavano il pizzo al clan e quello degli esattori. Partendo da questo ritrovamento, attraverso le intercettazioni telefoniche e senza nessun aiuto da parte delle vittime, che hanno sempre negato le minacce estorsive, sono riusciti a montare l’inchiesta. In particolare ad Afeltra è contestato un «cavallo di ritorno» ai danni di due imprenditori edili, per la restituzione di due moto da cross, reato che gli è costato l’arresto, e un’estorsione ai danni di un uomo di Aurano, frazione montana di Gragnano, che sarebbe stato costretto a versare 1000 euro in vista delle festività pasquali e natalizie. Per quest’ultimo capo d’imputazione il gip ha ritenuto insufficienti per l’arresto le prove raccolte. Ad A.F., indagato a piede libero, invece è contestata una tentata estorsione ai danni di un titolare di un noto panificio di Gragnano.