Sono passati esattamente 35 anni dal gol di Marco Baroni che regalò il secondo scudetto al Napoli. E guarda caso, lo segnò proprio alla Lazio (di cui è l’attuale allenatore) entrando nella hall o...
Sono passati esattamente 35 anni dal gol di Marco Baroni che regalò il secondo scudetto al Napoli. E guarda caso, lo segnò proprio alla Lazio (di cui è l’attuale allenatore) entrando nella hall of fame dei calciatori azzurri di tutti i tempi. Il 28 aprile insomma è il giorno in cui i fasti del passato si ripresentano in tinta tricolore, almeno così dice la classifica. Il campionato ’89/’90 registrò una serie di colpi di scena che vale la pena raccontare dall’inizio, quando il Napoli fece capire al Milan di Sacchi che la questione scudetto era ancora tutta da discutere. Il primo ottobre ’89 gli ottantamila spettatori dello stadio San Paolo furono testimoni di un prodigio. Il pallone scomparve e riapparve, si sollevò sulla testa del portiere Giovanni Galli del Milan e poi rotolò in rete. Lo scavetto di Maradona fu una giocata “incosciente”, una mossa che un calciatore normale non avrebbe né il tempo né la capacità di pensare. Fu un’annata piena di sorprese per il Napoli, perché nessuno immaginava che un ragazzino sardo pescato dalla Torres in serie C diventasse Gianfranco Zola o che Marco Baroni giocasse quasi tutte le partite da titolare (33 insieme a Ferrara); nessuno poteva immaginare che lo scudetto sarebbe stato assegnato grazie a una monetina volata dalle gradinate di Bergamo o che il “fatal Verona” battesse il Milan retrocedendo in B o che i boss Giuliano diventassero gli avversari più pericolosi per Maradona, che intanto – nella sequela di scandali con la droga – stava per diventare padre due volte con la nascita di Janina e di Diego junior, il figlio avuto da Cristina Sinagra e riconosciuto solo dopo molti anni a seguito del test sul DNA. Fu vera gloria? La squadra che il 29 aprile di trenta cinque anni fa si appuntò in petto il secondo gingillo tricolore passò dalla spaventosa mazzata in Coppa Uefa contro il Werder Brema (3-8 in due match) al clamoroso ribaltone ai danni del Diavolo. Nel computo generale della stagione il Napoli veleggiò sempre nei primi posti, vincendo liscio il girone di andata e perdendo (male) una sola partita all’antivigilia di Capodanno contro la Lazio. Purtroppo, non fu colpa di San Silvestro: a gennaio il Napoli si bloccò a Udine e tra l’11 e il 25 febbraio venne travolto a San Siro per 3-0 da un Milan avvelenato e 3-1 dall’Inter (in realtà le reti subite nell’inverno milanese furono 9 se si aggiunge la scoppola interna per 1-3 in Coppa Italia ancora contro il Milan). Quando riavvolgiamo i nastri della storia però spuntano fuori dettagli che riescono ancora a stupirci. Maradona si era presentato dopo cinque giornate con i postumi di una faticosissima Coppa America e il Napoli pareva non godere del favore dei pronostici. Oltre a due carneadi come Baroni e Zola, Moggi aveva chiuso la campagna acquisti prelevando Massimo Mauro dalla Juve (destinato alla panchina come eventuale dieci di ricambio) e senza le geometrie di Romano il centrocampo sembrava troppo lezioso: il poco brasiliano Alemao, detto il tedesco, era tedesco pure in campo, i piedi di De Napoli, Fusi e Crippa promettevano zero classe e Albertino Bigon si trovò catapultato dal Cesena al San Paolo senza Giordano. Eppure, il Napoli vinse e vinse anche bene, considerando lo scenario. Perché un altro dettaglio ci sfugge di quell’annata tribolata: Maradona non era più il dio osannato di Città del Messico ma un uomo incattivito dai tradimenti, osteggiato dai vertici federali, antipatico ai giornalisti. E così cominciò a dribblare anche le fucilate. Tuttavia, l’8 aprile del ’90, la più ricca e prestigiosa serie A di sempre incappò in due epocali vicende arbitrali, una sul campo, l’altra in sede disciplinare. La stagione stava terminando gloriosamente, in attesa dei Mondiali in Italia: a livello continentale Juventus e Fiorentina si contendevano la Coppa Uefa, la Sampdoria si giocava la finale di Coppa delle Coppe contro l’Anderlecht, il Milan puntava al bis in Coppa Campioni e l’attesa delle “notti magiche” fibrillava per la favoritissima nazionale di Vicini. A catalizzare l’attenzione del popolo pallonaro fu ancora il testa a testa tra Napoli e Milan in campionato, non tanto per le spettacolari goleada, il botta e risposta negli scontri diretti (3-0 per parte) e le giocate di Maradona, Careca, Gullit e Van Basten, ma per la raffica di colpi di scena che si verificarono alla quart’ultima giornata, con i rossoneri di Sacchi in vantaggio di una lunghezza e gli azzurri reduci da un allarmante rendimento in trasferta. Il calendario dell’8 aprile è il seguente: Milan a Bologna contro il frizzante Gigi Maifredi, Napoli a Bergamo ospite di un’Atalanta avvelenata dagli undici gol incassati in due gare. È una tappa decisiva per entrambe, eppure dopo un’ora di gioco il risultato sui campi non si schioda dallo 0-0 e anche le radiocronache di “Tutto il calcio minuto per minuto” raccontano una domenica fiacca. Ma al 79° è Bergamo a chiedere la linea, perché sta succedendo qualcosa: i tifosi dell’Atalanta si stanno arrampicando alle recinzioni, inferociti da una conduzione arbitrale (apparsa) troppo blanda nei confronti del potentato partenopeo Moggi/Ferlaino. Il tifo bergamasco inneggia al “daghelà al terùn” e volano bottigliette, accendini e monete. Una, da cento lire, colpisce in pieno la mezzala del Napoli Ricardo Alemao che si accascia sotto choc. Il massaggiatore Salvatore Carmando scatta dalla panchina brandendo lo spray antidolorifico e imbraca il giocatore brasiliano con un movimento quasi rugbistico. Una telecamera a bordo campo – come si vedrà alla moviola in seguito – capta un inequivocabile labiale: “Rimani giù… stai giù”. E’ la prassi, dirà in seguito Carmando. Alemao si stende a terra tamponandosi con una pezzuola bianca, intanto Bigon fa scaldare Gianfranco Zola e segnala il cambio. Passano appena cinque minuti e un nuovo boato di proteste irrompe sulla scena radiofonica. È il Dall’Ara stavolta a chiedere la linea. L’arbitro Lanese – coperto da Baresi – non ha assegnato un gol salomonico al Bologna. Anche un cieco girato di spalle avrebbe visto la palla di Lorenzo Marronaro entrare di mezzo metro, con un evidente spazio di luce tra la linea di porta e la disperata smanacciata del portiere del Milan. “Tutto regolare, giocate, giocate” conferma il giovane guardalinee Marcello Nicchi (diventerà presidente Aia). Sulle gradinate dello stadio felsineo cala un gelo violaceo. Intanto la diretta torna a Bergamo, dove la partita perde di mordente: Alemao è già stato portato in ospedale e il referto dell’arbitro Agnolin è saldamente nelle mani del Napoli. Il giudice sportivo, come da regolamento, omologa il 2-0 a tavolino, mentre i processi del lunedì definiscono sceneggiata napoletana l’infortunio di Alemao, anche se le immagini sono inutilizzabili come prova tv a discredito. Il Napoli, in virtù della vittoria d’ufficio, raggiunge i rossoneri a tre gare dalla fine. Alla penultima giornata però il Milan si suicida. Come nel ’73 la “fatal Verona” gli strappa lo scudetto da petto, stavolta con una stoccata di testa dell’argentino Sotomayor, di cui non si sentirà più parlare. Il Napoli passeggia 4-2 a Bologna e chiude un ciclo irripetibile con il secondo titolo, la Juve batte in finale Uefa la Fiorentina 3-1, la Samp porta a casa la Coppa Coppe e l’Italia giocherà un brillante mondiale, perso in semifinale ai rigori. E il Milan? Il 23 maggio il “diavolo” conquista la sua seconda Coppa Campioni consecutiva, regolando il Benfica per 1-0 al Prater di Vienna, ma questa è un’altra storia.
Rocco Traisci