Lido Azzurro, condannato a 5 anni il minorenne coinvolto nel raid armato: esclusa la tentata strage. Era il 19 luglio quando lo stabilimento oplontino, affollato da famiglie e bagnanti, si è trasform...
Lido Azzurro, condannato a 5 anni il minorenne coinvolto nel raid armato: esclusa la tentata strage. Era il 19 luglio quando lo stabilimento oplontino, affollato da famiglie e bagnanti, si è trasformato in un teatro di paura. Una discussione, banale quanto assurda, scaturita da uno sguardo “di troppo” tra Salvatore D’Acunzo e un altro ragazzo, ha acceso la miccia. Poche ore dopo, la ritorsione: due giovani armati, con volti coperti e un piano chiaro. Volevano dare una lezione, seminare il terrore. E ci sono riusciti. Quei due erano Salvatore D’Acunzo e il minorenne oggi condannato, legato strettamente al clan Gionta. Difeso dagli avvocati Roberto Cuomo e Maria Palmieri, ha ottenuto una pena ridotta rispetto ai dieci anni chiesti dalla pubblica accusa. Il giudice ha escluso l’accusa di tentata strage, riconoscendo però la pericolosità del gesto e confermando l’aggravante del metodo mafioso. Cinque anni di reclusione, per un ragazzo che — secondo la ricostruzione — ha scelto di partecipare a una spedizione punitiva, armato, e senza alcuna remora di fronte a decine di persone innocenti. Il blitz al lido ha lasciato segni indelebili. Una fuga precipitosa verso Rampa Nunziante, le urla, la gente che cercava riparo dietro ombrelloni e lettini. Nessun ferito, ma la paura è stata palpabile, tanto da cambiare per sempre la percezione di sicurezza in quel tratto di costa. I due assalitori volevano colpire il giovane del diverbio, ma la reazione dei presenti ha probabilmente evitato conseguenze peggiori. Le indagini, coordinate con precisione dalle forze dell’ordine, hanno stretto il cerchio grazie a due elementi chiave: la targa dello scooter — inizialmente coperta — e una scarpa. Proprio così: nelle immagini delle telecamere di sorveglianza, una calzatura indossata da uno degli aggressori è stata riconosciuta successivamente ai piedi di uno dei fuggitivi. Un dettaglio che ha permesso agli investigatori di ricomporre l’intero mosaico. Dopo l’assalto, i due si erano diretti verso una zona apparentemente “sicura”, priva di occhi elettronici, per cambiarsi d’abito. Pensavano di essere riusciti a confondere le acque. Invece, le telecamere installate su corso Umberto I li hanno nuovamente ripresi, ancora con i caschi indossati e, appunto, con le stesse scarpe del raid. Lo scooter, poi, era lo stesso, riconducibile a D’Acunzo. Un’inchiesta rapida, precisa, condotta come una corsa contro il tempo che nel giro di una settimana aveva portato all’arresto dello stesso D’Acunzo, con le indagini proseguite fino all’arresto del minorenne lo scorso 21 novembre. E una giustizia che, pur tenendo conto della giovane età dell’imputato, ha voluto mandare un segnale forte: certe dinamiche non possono trovare spazio. Non nella vita reale, non nei quartieri, non sulle spiagge frequentate da famiglie e bambini. Resta ora da comprendere come un ragazzino possa finire così presto in un tunnel di violenza e codici criminali. Come sia possibile che l’unica risposta a uno sguardo sia quella di impugnare una pistola. Forse è proprio questa la domanda più inquietante, quella che nessuna sentenza potrà mai risolvere del tutto.