Luigi Vicinanza, sindaco di Castellammare, è ancora il tempo del dolore, la tragedia del Faito ha ancora i volti delle vittime. «E’ un bilancio tremendo. E’ un momento durissimo per la città. E’ il tempo del lutto, della riflessione, della meditazione e del silenzio, poi ci sarà il tempo per le polemiche, per le indagini e per l’individuazione di eventuali responsabili. Siamo feriti e addolorati, preghiamo per le vittime e perché Taabet si salvi. Ce lo auguriamo per lui, prima di tutto, e perché la sua testimonianza potrebbe essere determinante per la ricostruzione della dinamica dell’incidente».
Se Tabet Suliman, il ragazzo israeliano, è ancora aggrappato alla vita lo deve ai soccorritori che in maniera tempestiva sono arrivati sul posto. Metropoli ha raccontato l’impresa dei primi due volontari del soccorso alpino arrivati tra i cadaveri straziati, due operatori di Castellammare che si sono calati in uno scenario drammatico anche per loro abituati a lavorare in condizioni estreme.
«Il bilancio della tragedia è drammatico ma i soccorsi coordinati dalla prefettura di Napoli sono stati tempestivi ed esemplari. Chi è intervenuto lo ha fatto con grande coraggio e con grande passione. Io ero alla stazione a valle subito dopo l’sos lanciato dagli operatori, ho visto una mobilitazione straordinaria di uomini e mezzi. Dal soccorso alpino alla polizia, dai carabinieri alla guardia di finanza, dai vigili del fuoco alla protezione civile e ai vigili urbani. Speravamo di salvare più vite, il destino non ha voluto».
Di questa tragedia restano le storie spazzate via. Quella di Carmine, per esempio. Il suo collega vetturista ci ha raccontato l’ultimo scambio di battute all’inizio turno e poi l’ultimo saluto, quando le due cabine si sono incrociate in volo.
«Il destino sa essere beffardo: ho pensato anche io all’incrocio delle cabine, tra chi sarebbe sopravvissuto e chi invece andava inconsapevolmente incontro alla morte. L’altro elemento beffardo in questa tragedia è che mancavano circa venti secondi all’aggancio delle cabina alle stazioni. Venti maledetti secondi che hanno cambiato la nostra storia».
Sindaco, le indagini chiariranno le cause della tragedia, noi però dobbiamo porci delle domande mentre i tecnici incaricati dalla procura sono a lavoro per gli accertamenti irripetibili sul posto. Ci sono dubbi legati alle condizioni meteo e alla manutenzione?
«Quando è ripartita la funivia, lo scorso 10 aprile, io sono andato a salutare i turisti in partenza verso il Faito, mi è rimasto impresso l’orgoglio del personale della Vesuviana che mi ha raccontato dei 106mila passeggeri trasportati lo scorso anno. Gli operatori mi hanno mostrato l’apparato tecnologico, mi hanno raccontato delle prove, dei mesi di manutenzione. La Circumvesuviana ha problemi enormi ma i dipendenti che lavoravano per la funivia sapevano di essere in un contesto totalmente diverso: più sicuro e più efficiente».
E’ possibile che non ci fossero le condizioni meteo per far ripartire le corse alle 11:20 di un giovedì santo che purtroppo rimarrà impresso nella memoria di tutti? Anche i soccorritori hanno parlato di condizioni estreme: diluvio, vento e nebbia.
«Le condizioni estreme le abbiamo viste tutti. Questa sarà un’indagine lunga e complessa, noi dobbiamo evitare di diventare esperti improvvisati. So che esiste un sistema che impedisce alle funivie di muoversi quando il vento va oltre una certa velocità, però è chiaro che qualcosa non ha funzionato. Il cavo si è spezzato e non si doveva spezzare, il freno di emergenza della cabina superiore si doveva azionare: sono due anomalie. Spero che questa inchiesta porti a risultati concreti che ci insegnino qualcosa, perché noi siamo un Paese che dalle tragedie non trae mai insegnamento».
Lei è sindaco da pochi mesi, cosa si prova nel vedere la sua città piegata dal dolore e dall’angoscia al centro di una sciagura raccontata da tutto il mondo.
«Sono stati momenti e sensazioni drammatiche: per quanto drammatiche, le immagini dei passeggeri che scendevano legati alle corde nella cabina a valle ci davano speranza. Pensavamo che avremmo potuto salvare tutti. Invece c’era già l’inferno a monte».
Quanto è difficile ripartire?
«Oltre all’angoscia avverto il senso di smarrimento della comunità, il Faito e la funivia sono elementi identitari di Castellammare di Stabia. Però bisogna reagire. Castellammare ha in se la forza per farlo. La prima risposta l’abbiamo avuta in occasione della via Crucis del venerdì santo. Una risposta ampia che ha fatto seguito alle preghiere del giovedì santo durante il rito delle sette chiese del centro antico. C’è stato un clima di dolore e di mestizia, Questa tragedia è avvenuta in giornate particolari: per chi possiede il dono della fede questo ha un significato, per chi esercita il laico dubbio c’è una spinta a interrogarsi, però la partecipazione del venerdì stando è stata notevole. Abbiamo bisogno in questa fase drammatica di fare comunità».
Sindaco, in questi giorni la mente è torna indietro di 65 anni fa, a quel maledetto 15 agosto del 1960, anche allora i morti furono quattro. Allora la cabina a valle scivolò lungo il cavo si schiantò sui binari.
«E’ una triste e brutta analogia. Io ricordo benissimo quell’incidente, era un bambino e ricordo il dramma di mia madre che non riuscivo a a mettersi in contatto con mio padre e i miei due fratelli che erano saliti sul Faito. Non c’erano i telefonini, nessuno sapeva nulla e piangemmo per ore».
Allora la funivia restò ferma due anni, però la montagna non morì.
«Il villaggio del Faito fu costruito nel 1952, subito dopo la guerra, non era ancora il boom economico ma era la fase della ricostruzione. Ivo Vanzi, allora presidente del Banco di Napoli, ebbe un’intuizione geniale: vide nel Faito un’occasione di rinascita postbellica. Quando cadde la cabina ci fu un momento di smarrimento, però la città riuscì a superare il trauma e il Faito esplose dal punto di vista economico e turistico».
Il Faito pulsava economia e turismo anche adesso, dopo anni di desolazione. Era caduto in una crisi profonda dopo la sparizione di Angela Celentano e lentamente ne era venuto fuori. Questa è un’altra mazzata.
«La mazzata è pesantissima, vede io considero il Faito una metafora della storia di Castellammare. Nel nostro stemma abbiamo la frase latina «Post Fata Resurgo» cioè «dopo le avversità risorgo» e il Faito ha vissuto tante avversità ma ha avuto sempre la capacità di risorgere. Ora non ci dobbiamo rassegnare. Noi abbiamo stanziato 10 milioni dei fondi regionali per mettere in sicurezza i quattro rivi di Quisisana, abbiamo partecipato ad un bando nazionale per recuperare fondi e riaprire la strada del Faito. Adesso quella diventa un’urgenza ma il Comune da solo non può farcela, adesso serve il sostegno di tutte le istituzioni»
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