«Qui sopra è un inferno, ci sono cadaveri straziati sbalzati fuori dalla cabina». Sono le 15:30 di un giovedì santo che resterà impresso nella memoria di tutti. Roberto è il capo stazione Campan...
«Qui sopra è un inferno, ci sono cadaveri straziati sbalzati fuori dalla cabina». Sono le 15:30 di un giovedì santo che resterà impresso nella memoria di tutti. Roberto è il capo stazione Campania nord del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico, Gerardo è un infermiere volontario: sono i primi ad arrivare sul luogo della tragedia. Sono entrambi di Castellammare di Stabia e hanno scalato la montagna in poco meno di un quarto d’ora a bordo del loro mezzo a trazione integrale. Sono gli occhi della centrale operativa nella nebbia che avvolge la cresta dei Faito. «Cosa c’è a monte», chiedono ai due soccorritori. «Qui è una strage». Qui significa un paio di centinaia di metri più in basso rispetto alla stazione a monte della funivia, qui è dove giace la «panarella» verde acqua, qui è dove la morte ha spazzato via la vita dei passeggeri che salivano la montagna. Si capisce subito che l’emergenza non è a valle, dove i passeggeri rimasti sospesi a mezz’aria vengono calati giù con le corde, l’orrore è mille metri più in alto. «Bisogna riorganizzare la macchina dei soccorsi», urla Roberto. E immediatamente parte una seconda squadra con medici e infermieri. Le lancette segnano quasi le sedici del pomeriggio, siamo a tre quarti d’ora dall’sos che i macchinisti della funivia hanno lanciato alla soccorso alpino. Roberto e Gerardo si fanno largo tra la fitta vegetazione e incontrano i cadaveri lungo il cammino. Il primo, il secondo, il terzo. Un corpo si muove, è Thaeb, uno dei due ragazzi israeliani che erano a bordo della cabina. «C’è un ferito», comunicano alla centrale, e in mezzo a quell’inferno diventa la priorità. Dalle radioline che gracchiano voci arriva la conta dei passeggeri: sono cinque. Due fratelli israeliani, due fratelli britannici e il vettorista Carmine Parlato, che non ha mai risposto ai colleghi che avevano tentato di mettersi in contatto dalla stazione a valle. Sul posto arriva la prima squadra di supporto, poi ne arriveranno altre. I soccorritori scorgono un altro corpo, un centinaio di metri più in basso: è quello del vettorista nato a Vico Equense e trasferitosi da anni a Castellammare di Stabia. Lo scenario è apocalittico: nebbia fitta, diluvio, raffiche di vento impetuoso. La terra è un misto di fango e fogliame, ci sono alberi tranciati dalle lamiere della panarella rotolata giù per il dirupo. Sono condizioni impervie anche per chi è abituato ad operare in situazioni estreme. Tra lo spessore della nebbia e la fitta vegetazione, i soccorritori continuano ad arrivare sul luogo del disastro seguendo la stessa strada di Roberto e Gerardo, l’unico punto di riferimento giù per i fianchi del Faito sono i cavi staccatisi dai piloni della funivia. E’ un lavoro coordinato: bisogna portare via l’unico ferito, bisogna mettere in sicurezza l’area per dare la possibilità agli investigatori di raccogliere elementi utili alle indagini, poi bisogna recuperare i corpi. Otto squadre del Soccorso Alpino si concentrano nell’area attorno alla cabina, ci sono 30 operatori tra tecnici, sanitari e scalatori. Arrivano anche i militari della Guardia di Finanza, le squadre dei Vigili del Fuoco, in area volteggia l’elicottero sul quale, due ore dopo l’sos lanciato dalla stazione della funivia, viene caricato il ragazzo aggrappato alla vita che viene intubato e trasportato all’Ospedale del Mare in condizioni gravissime. I medici refertano fratture multiple ma non possono azzardare bollettini neurologici. Le operazioni sul versante maledetto del Faito vanno avanti, i cadaveri sono stati sbalzati fuori dalla cabina, uno è quasi schiacciato dalle lamiere, il vettorista viene recupato molto più in basso. A valle, nella stazione Eav arrivano i magistrati, il procuratore della repubblica di Torre Annuziata, Nunzio Fragliasso e il sostituto Giuliano Schioppi. E’ il momento delle indagini, e iniziano a calarsi gli agenti della polizia scientifica per i rilievi. Roberto e Gerardo sono ancora lì, sotto la pioggia battente e in uno scenario spettrale avvolto dalla nebbia. Cala anche il buio e i rischi si moltiplicano sotto i fasci di luce delle lampade incollate agli elmetti dei soccorritori. Bisogna attendere il via libera degli investigatori per iniziare il recupero dei cadaveri, e quando arriva è già notte fonda. A mezzanotte, Roberto e Gerardo risalgono il pendio della montagna con la morte nel cuore e stremati dalla fatica. Se Thaeb si salverà sarà grazie al loro intervento tempestivo. Quando i due volontari arrivano sul piazzale la notte è illuminata solo dai lampeggianti dei mezzi di soccorso. C’è un silenzio assordante, ci sono gli occhi lucidi dei familiari di Carmine, c’è lo sgomento stampato sul volto delle istituzioni. «Abbiamo fatto il possibile», dice il capo stazione Campania nord. La discesa verso Castellammare è un lungo viaggio in silenzio. Per la fatica. Per il dolore. Per il peso di una tragedia che ha riportato la morte sul Monte Aureo.