Era in carcere da oltre trent’anni. E sul suo casellario giudiziario, in grassetto e maiuscolo, campeggia la dicitura “fine pena mai”. Elio Rotondale, però, ritenuto uno dei sicari più pericol...
Era in carcere da oltre trent’anni. E sul suo casellario giudiziario, in grassetto e maiuscolo, campeggia la dicitura “fine pena mai”. Elio Rotondale, però, ritenuto uno dei sicari più pericolosi del clan D’Alessandro, oggi ormai 74enne, ha lasciato il carcere dove era recluso per scontare gli ultimi giorni di vita insieme ai suoi cari. Il via libera è arrivato nei mesi scorsi visto il suo stato precario di salute con il tribunale di sorveglianza che ha concesso al killer irrudicibile della cosca di Scanzano un abbassamento dell’intesità della misura cautelare per concedere al 74enne di ricevere le giuste cure. Rotondale venne arrestato il 29 aprile del 1989 in compagnia di un altro esponente di primo piano dei D’Alessandro. Più di duecento fra agenti e carabinieri, con elicotteri e cani poliziotto, circondarono il Monte Coppola, l’area collinare che sovrasta la pianura di Castellammare. Una zona impervia, con gole profonde, a tratti inaccessibile. Per molte ore a partire dall’alba, le forze dell’ ordine ispezionarono anfratti, casolari, fattorie. Posti di blocco sono stati istituiti lungo tutta la statale sorrentina. Furono i giorni della caccia ai boss dei clan D’ Alessandro e Imparato la cui guerra sanguinaria portò alla strage del 21 aprile (quattro morti e due feriti fra cui un ragazzo di 16 anni). I carabinieri del gruppo Napoli II e di Castellammare catturarono, insieme ad Elio Rotondale che all’epoca aveva 29 anni anche Antonio De Luca, che di anni ne aveva 45. Una caccia che, all’epoca si estese anche ai fratelli Imparato, ex alleati storici di Scanzano, poi diventati nemici numero uno. Col soprannome di “bancarella”, Rotondale insieme a De Luca era da sempre molto vicino a Renato Raffone, il boss conosciuto col soprannome di “battifredo” (deceduto qualche anno fa) che da dipendente comunale aveva scalato le gerarchie della camorra stabiese fino a diventare addirittura presidente della società di calcio cittadina investendo soldi che venivano dai proventi della vendita della droga e degli affari sporchi. Trent’anni trascorsi dietro le sbarre, mentre fuori la guerra per i controllo del territorio è continuata. Con un denominatore comune: il controllo degli affari illeciti rimasto saldamente nelle mani di Scanzano. Morto, sempre in cella, il patriarca Michele D’Alessandro, il potere è passato ai figli. Anche per Rotondale lo stesso destino: solo dieci anni fa, infatti, il nipote Umberto venne ferito durante un agguato organizzato nell’ambito di una faida per il controllo delle piazze di spaccio. In oltre 30 anni di carcere l’uomo non ha mai accennato ad un pentimento rimanendo in silenzio custodendo i segreti di una stagione di camorra che l’antimafia non è mai riuscita a ricostruire del tutto. In questi anni più volte Rotondale, attraverso i suoi legali, aveva richiesto lo sconto di pena ricevendo dalla corte d’appello, dal tribunale di sorveglianza, e dalla cassazione sempre la stessa risposta. L’uomo infatti più volte si è appellato ai giudici per chiedere la conversione dell’ergastolo ai 30 anni di pena. Uno stratagemma che avrebbe concesso al killer di uscire dal carcere e scontare gli ultimi giorni di vita con i suoi cari. Una richiesta che invece è stata accettata nei mesi scorsi per le gravi condizioni di salute dell’uomo.