Gragnano. Diciassette lunghissimi anni ha impiegato la giustizia per condannare il killer e il mandante dell’omicidio di Federico Donnarumma, ammazzato per errore a via Castellammare il 28 novembre ...
Gragnano. Diciassette lunghissimi anni ha impiegato la giustizia per condannare il killer e il mandante dell’omicidio di Federico Donnarumma, ammazzato per errore a via Castellammare il 28 novembre del 2008 nel bel mezzo di un agguato di camorra che vedeva nel mirino dei sicari il ras Carmine D’Antuono. Oltre alle indagini, alle dichiarazioni dei pentiti e alle confessioni del killer, ora a confermare questa ricostruzione c’è anche una sentenza di primo grado che ha condannato all’ergastolo il boss Paolo Carolei e il killer, allora appena 18enne, Catello Romano. «Federico e’ stato ucciso per errore e non c’ entrava niente con la camorra, essendosi trovato al posto sbagliato nel momento sbagliato, a fianco del vero obiettivo dei sicari- le parole dell’avvocato Catello Di Capua, che insieme al legale Salvatore Barbuto ha assistito i familiari di Donnarumma nel corso del processo- L’ ho scritto nella denuncia presentata alla DDA di Napoli il giorno dopo l’ omicidio, essendomi trovato sul luogo dell’agguato proprio mentre mi recavo al mio studio a Gragnano. L’ ho sostenuto nel consiglio comunale di Pimonte, Comune dove abitava Federico, allorquando chiesi di deliberare all’ unanimita’ la sua estraneita’ ad ogni contesto delinquenziale . L’ ho sostenuto in questi anni alla Prefettura di Napoli, per chiedere un ristoro per la moglie ed i figli quali familiari di una vittima innocente della criminalita’ organizzata. L’ ho ribadito con tutte le mie forze nel processo che si e’ concluso oggi con la sentenza che ha condannato all’ ergastolo i sicari del clan D’ Alessandro contro cui non ho esitato a costituirmi parte civile, per la famiglia di Federico, ma più ancora per rispetto a Federico ed alla sua memoria offuscata in questi lunghi anni da vili sospetti contro cui solo oggi possiamo scrivere la parola fine». Durante le discussioni delle parti è venuto fuori il reale motivo per cui Donnarumma si trovasse in quel luogo. Lui, padre di famiglia disoccupato, era a via Castellammare per chiedere un posto di lavoro a D’Antuono che possedeva un deposito di bibite. Ma proprio nel momento del colloquio Romano, armato dal clan D’Alessandro, compì la missione di morte sparando prima a D’Antuono e poi, preso dalla foga, a Donnarumma. Da quel tragico giorno sono passati 17 anni e per ricostruire in pieno l’omicidio sono stati i collaboratori di giustizia. Prima i componenti del gruppo di fuoco dell’epoca, Salvatore Belviso e Renato Cavaliere, hanno rivelato ai magistrati tutti i dettagli dell’omicidio, poi nel 2020 l’altro pentito, Pasquale Rapicano, ha fornito i suoi racconti che hanno combaciato con quello di Belviso e Cavaliere. Poi, infine, per cancellare ogni dubbio ci ha pensato Catello Romano che nella sua tesi di laurea ha confessato il delitto: «Mi avvicinai a D’Antuono e gli sparai 4 colpi di pistola…. Non so perché, non l’ho capito, ma sparai anche a lui…. Si chiamava Federico Donnarumma. Quando mi chiesero il motivo disse che mi aveva visto in faccia…. Delle tante cose per cui provo vergogna, forse questa è la più gravosa con cui convivere». L’antimafia ha dato già il parere favorevole per l’iscrizione di Donnarumma nella lista delle vittime innocenti di camorra ma per l’ufficialità bisognerà attendere la sentenza di cassazione. Nel frattempo l’altro presunto mandante, il boss Vincenzo D’Alessandro, sarà giuidicato con il rito ordinario con il processo che inizierà a fine maggio. Secondo la ricostruzione dell’antimafia l’omicidio di Carmine D’Antuono era funzionale al rafforzamento dell’alleanza, nata da poco tempo, tra i D’Alessandro e il clan Di Martino di Gragnano. Un patto di ferro siglato grazie a Paolo Carolei, garante del legame tra le due cosche egemoni del territorio. Oltre a questo motivo, però, secondo la Dda c’era il desiderio di vendetta del clan di Scanzano. che voleva «farsi giustizia» per la strage delle terme dove morì il fratello di Michele D’Alessandro (fondatore della cosca morto in carcere a fine anni ’90), Domenico, zio di Vincenzo. Un delitto ordinato dal clan Imparato, di cui faceva parte D’Antuono. Così Cavaliere e Belviso, all’epoca reggenti del gruppo di fuoco, pianificarono l’omicidio armando Catello Romano che nella foga, ammazzò anche l’innocente Donnarumma.