Scafati. Niente sconti per gli 8 imputati condannati in primo grado a 75 anni nell’ambito del processo “Buon Compleanno”, arrivato a sentenza nella primavera del 2024 dopo 17 anni dall’avvio d...
Scafati. Niente sconti per gli 8 imputati condannati in primo grado a 75 anni nell’ambito del processo “Buon Compleanno”, arrivato a sentenza nella primavera del 2024 dopo 17 anni dall’avvio delle indagini. E’ quanto chiesto dal procuratore generale della Corte d’Appello nel giudizio di secondo grado incardinato su istanza delle difese. Sette furono le assoluzioni per cui la Dda non ha presentato ricorso, insieme a Peppe Buonocore anche Antonio Muollo detto ‘o lallone. Erano stati stabiliti 14 anni per Raffaele Alfano e 6 mesi in più per Carmine Alfano di Scafati, quindi 14 anni e 6 mesi per Salvatore Desiderio alias Sasa’ ‘o barbiere anche lui di Scafati e 14 anni e 4 mesi per Gianluca Tortora di Angri. E ancora sei anni e 8 mesi per Renato Sicignano di Scafati, 6 anni per Giovanni Tufano di Castellammare, 4 anni e mezzo per Ferdinando Cirillo di Boscoreale conosciuto come ‘o battilamiere e 4 anni e 2 mesi per Giovanni Guida di Castellammare di Stabia. L’inchiesta era partita nel 2007 e tre anni più tardi aveva portato al blitz con arresti e indagati. Nel 2011 il via al giudizio a Nocera Inferiore con processo ordinario. Le indagini servite a sgominare la gang della coca erano partite 18 anni fa proprio a opera dei militari di Scafati. Un’indagine nata quasi per caso sulla scorta di un’altra operazione dei carabinieri: denominata “Louse”. In quel caso a destare la curiosità degli investigatori fu una telefonata intercettata tra Vincenzo Starita detto ‘a strega (condannato con rito alternativo) e Giuseppe Buonocore, Peppe ‘e Scafati. Luogo delle riunioni operative del gruppo un negozio di via Martiri d’Ungheria a Scafati, l’ideale per i componenti del gruppo vista la vicinanza con le abitazioni di molti. Caratteristica dei narcos era l’attenzione ad evitare le conversazioni telefoniche preferendo gli incontri di persona per parlare di “affari”. Nelle rare occasioni in cui venivano utilizzate le conversazioni telefoniche il gruppo utilizzava un linguaggio criptato. In particolare le parole in codice erano riferite al mondo delle automobili contando sul fatto che secondo la Dda il boschese Ferdinando Cirillo fosse titolare di un’officina meccanica. A seconda delle quantità di sostanza in arrivo le parole cambiavano. Riparare un’automobile era un grosso carico mentre un carico più piccolo era solamente una “portiera”. Obiettivo della holding, ottenere il monopolio dello spaccio di sostanze stupefacenti sul territorio tramite l’imposizione di quello che stesso i componenti definivano “il sistema”. Il ritorno in aula a inizio giugno con le discussioni e la sentenza.
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