La riforma della giustizia vista con gli occhi dell’avvocatura. Renato D’Antuono, penalista, è il presidente della Camera Penale del foro di Torre Annunziata.
Presidente, vi sentite centrali in questo dibattito?
«No, io non credo che siamo oscurati: credo, invece, che gli avvocati siano stati protagonisti nella indicazione di questa strada della riforma costituzionale. Il Governo ha messo nella propria agenda la separazione delle carriere e sta andando avanti anche l’Unione delle Camere Penali è stata la prima che ha indicato questo tema. Qualche anno fa noi avvocati siamo usciti dalle aule di giustizia e siamo andati per strada a raccogliere le firme, quasi 72.000, su questa proposta di riforma costituzionale».
Prima di entrare nel merito, lei cosa pensa della crisi di credibilità della magistratura?
«Io non sono un amante dei sondaggi, però i sondaggi danno la magistratura da molto tempo in calo di credibilità. Una crisi di fiducia da parte del cittadino evidente: poi, se mi chiede se ha una sostanza reale, credo di sì. Tutti abbiamo letto il caso Palamara, l’Hotel Champagne: una vicenda che ha dato il colpo di grazia a questa credibilità. Anche perchè l’Anm non può derubricare questo fatto dicendo è una marachella di pochi signori che decidevano di colloquiare con la politica. La questione è molto più vasta e credo coinvolga una responsabilità molto più importante».
Veniamo ai nodi: uno dei punti più controversi è la separazione delle carriere. Cosa ne pensa l’avvocatura?
«L’avvocatura è assolutamente impegnata a sostenere questa riforma che prevede l’allontanamento del pubblico ministero dal giudice o meglio direi del giudice dal pubblico ministero. Questa questa riforma costituzionale non fa altro che inverare una prospettiva che il legislatore ha fatto molti anni fa. Nel 1988 il processo penale è stato riformato in senso accusatorio, dove c’è un giudice e imparziale. Questa riforma in senso accusatorio era già un viatico per un’evidente separazione delle carriere. La riforma dell’88 è stata poi seguita da una riforma costituzionale dell’articolo 111, che molte volte i magistrati dimenticano quando impugnano la Costituzione:questo articolo prevede che il giudice deve essere terzo ed imparziale. Il giudice è il vertice di un triangolo in cui le due parti sono equiparate, sono sullo stesso piano e quindi il giudice deve avere questa lontananza. Utilizzando una metafora calcistica sarebbe strano che l’arbitro di una partita frequenti gli spogliatoi di una squadra, fa parte dello stesso ordine di quella squadra, anche soggetto alle dipendenze di una delle due squadre. Questa è la riforma vera che deve essere portata avanti: quindi la terzietà del Giudice è una conquista e soprattutto è una conquista di un rito accusatorio che è stato scelto ben 35 anni fa. Dovremmo meravigliarci del fatto che dopo 35 anni siamo ancora in un ordinamento che prevede il pubblico ministero e giudice all’interno dello stesso ordine giudiziario».
Accanto a questo i magistrati contestano anche la scelta di un Csm che si compone per sorteggio. Lei cosa pensa? «Personalmente non sarei troppo favorevole al sorteggio: è ovvio che il sorteggio diventa quasi una una riforma imposta. Sorteggiare i soggetti che poi devono rappresentare tutti gli altri non è la migliore delle riforme. Però devo anche dire che la magistratura ha perso il tempo a non auto riformarsi. Il caso Palamara, come dicevo prima, ha acceso una spia importante. Invece di minimizzare la magistratura poteva autoriformarsi. Non l’ha fatto: ovvio che il sorteggio limita fortemente quello che è il problema delle correnti all’interno della magistratura. Le nomine sono le cose più importanti a parte il problema dell’autodisciplina dei magistrati. Perché nominare il capo di una procura per non perché ha dei meriti, ma preferirlo ad altri soltanto perché appartiene ad una corrente o all’’altra lascia pensare al cittadino che le inchieste che poi questa procura porterà avanti possano essere dettate dalle ideologie di quella corrente. C’è una parte della magistratura, anche se minoritaria, che è favorevole al sorteggio perché credo che restituisca la credibilità che in questi anni ha perso».
Gli oppositori della riforma sostengono che l’obiettivo finale sia quello di avere un pm sottoposto al potere politico.
«Questo mi fa sorridere. I magistrati conoscono le norme, le studiano, le interpretano. Questa riforma non intacca assolutamente due articoli della nostra Costituzione: il 107 e il 108 che determinano in maniera puntuale e precisa l’autonomia cioè l’indipendenza del pubblico ministero, non del giudice rispetto agli altri poteri. Dire il contrario è qualcosa che attiene alla fantasia. Siamo al processo all’intenzioni, perchè chi volesse sottoporre il pubblico ministero al potere esecutivo dovrà cambiare la Costituzione non una legge ordinaria»
Il rappresentante Anm De Micheli ha detto che questa è una riforma lontana dalla gente. Lei è d’accordo?
«Questa maggioranza politica aveva nel suo programma la separazione delle catene ed è stata eletta con una stragrande maggioranza. Ha scelto poi la riforma costituzionale che prevede una doppia lettura tra Camera e Senato. E, addirittura, ha previsto un referendum confermativo alla fine di questo percorso. Un iter democratico molto forte».
L’Anm dice però che i problemi della giustizia sono altri.
«Non si può non essere d’accordo sul fatto che ci sono problemi diversi che limitano la il lavoro della giustizia. Però dico anche basta al benaltrismo per cui i problemi sono sempre altri. Siamo consapevoli che in alcuni uffici manchi la carta, manchi il personale, vi siano problemi seri. Ma questo non può far mettere in secondo piano discussioni come quelle sulla riforma che punta a una giustizia più giusta, che tuteli il cittadino perché deve avere davanti a sé un giudice che non ha nessun rapporto ordinamentale con il pubblico ministero, non condivide con quest’ultimo le questioni relative alla giustizia domestica. L’unione delle carriere era funzionale a un sistema inquisitorio ma oggi un giudice che decide di una controversia, e quindi può dar torto faccio un’ipotesi al pubblico ministero, potrebbe trovarsi con lo stesso pm che vota sulla sua carriera. Questa è la commistione di interessi che dobbiamo cercare di evitare: ma ripeto la cosa più importante è che giudice terzo ed imparziale vuol dire che è lontano non solo dalle questioni e dagli interessi delle parti, ma è un giudice che non ha nessun rapporto, neanche ordinamentale, non condivide nessun tipo di regole e di ordinamento e nessuno status con il pubblico ministero. Questo questo credo che lo capisca anche un bambino e quindi credo che questa sia una forma necessaria»
Com’è la situazione a Torre Annunziata?
«I problemi ci sono, però devo dire con orgoglio che Torre Annunziata rispetto al panorama territoriale è un’isola felice. Dalla pandemia abbiamo lavorato tutti insieme, anche con i magistrati, sotto la presidenza Aghina, per risolvere i nodi che si creavano».
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