Allarme povertà a Torre Annunziata: 252 famiglie escluse dagli aiuti alimentari nonostante i requisiti. È una fotografia impietosa, quella scattata dalla graduatoria appena pubblicata del progetto d...
Allarme povertà a Torre Annunziata: 252 famiglie escluse dagli aiuti alimentari nonostante i requisiti. È una fotografia impietosa, quella scattata dalla graduatoria appena pubblicata del progetto di sostegno sociale «Condividere i bisogni per condividere il senso della vita», sottoscritto tra il Comune di Torre Annunziata e il Banco alimentare Campania Onlus. A fronte di 852 famiglie ammesse al beneficio, solo 600 riceveranno il pacco alimentare mensile previsto per il 2025. Le restanti 252, pur avendone pieno diritto, restano tagliate fuori. Un numero che fa rumore, e che racconta una realtà ben più ampia e drammatica: quella di una povertà diffusa e crescente, che si insinua tra le pieghe della quotidianità e si trasforma in silenziosa sofferenza. Il progetto, che prevede la distribuzione di generi alimentari di prima necessità per undici mesi l’anno (agosto escluso), ha registrato 1.203 richieste totali, delle quali 351 sono state escluse per mancanza di requisiti formali. Tuttavia, il problema più grave riguarda chi quei requisiti li possiede: tra gli “ammissibili per scorrimento” si contano oltre 500 cittadini. Di questi, 84 vivono soli e ben 168 fanno parte di nuclei familiari composti da almeno due persone. Cifre che, sommate, restituiscono un quadro drammatico, fatto di frigo vuoti, bollette arretrate e speranze appese a un pacco alimentare. Dietro questi numeri ci sono storie, volti, famiglie che lottano ogni giorno per non scivolare oltre il limite della dignità. C’è chi ha perso il lavoro dopo anni di contributi, chi vive con una pensione minima, chi deve scegliere se comprare un farmaco o il latte per i figli. Attualmente sono circa 1.500 le persone che beneficiano regolarmente di questo supporto mensile, ma il numero effettivo di chi versa in stato di necessità è ben più alto. La disoccupazione dilagante, la precarietà lavorativa e il continuo aumento del costo della vita stanno creando una pressione sociale insostenibile. Le famiglie fanno sempre più fatica a coprire le spese di base: non solo bollette e affitti, ma anche pane, latte, pasta e beni essenziali. A fronte di questa emergenza, la macchina della solidarietà sul territorio non si è mai fermata. Parrocchie, associazioni di volontariato, Caritas e la storica mensa don Pietro Ottena continuano a garantire pasti e aiuti ai più fragili, colmando in parte le falle di un sistema che non riesce a proteggere i cittadini più vulnerabili. Ma queste realtà, per quanto fondamentali, non possono sopperire all’assenza di una strategia strutturale. Sono presìdi di umanità che lavorano ogni giorno nell’ombra, ma non possono restare gli unici baluardi contro l’emarginazione. Il vero nodo è questo: l’aiuto alimentare è una risposta immediata, ma non una soluzione. Servono politiche attive per il lavoro, investimenti pubblici su formazione e inclusione sociale, un piano organico per combattere la povertà alla radice. Bisogna creare opportunità, non solo assistenza. In un territorio già segnato da marginalità e difficoltà economiche, l’aumento delle richieste di sostegno è un campanello d’allarme che non può più essere ignorato, soprattutto da chi ha il dovere istituzionale di rispondere. Il rischio è che si normalizzi l’emergenza. Che ci si abitui all’idea che una parte della popolazione resti sempre “in coda”, fuori dalla lista dei beneficiari, pur avendo diritto. La graduatoria pubblicata non è solo un elenco di nomi e numeri: è lo specchio di una crisi che bussa ogni giorno alla porta di centinaia di famiglie. E che chiede risposte concrete, urgenti, strutturate.