Castellammare per adesso ha già ottenuto un piccolo primato: la sesta posizione in classifica della Juve Stabia assicura alla città il top delle “non capoluogo” del calcio regionale. Un obiettiv...
Castellammare per adesso ha già ottenuto un piccolo primato: la sesta posizione in classifica della Juve Stabia assicura alla città il top delle “non capoluogo” del calcio regionale. Un obiettivo finora conteso solo da Cava dei Tirreni che nell’83 vantava il 16esimo posto della Cavese nel campionato di serie B, l’anno della famosa impresa a San Siro contro il Milan e del momentaneo terzo posto nel girone d’andata. Non succede, ma se succede il grande miracolo – ma non è detto che sia per forza quest’anno – purtroppo la beffa è dietro l’angolo: la città non potrà partecipare al ballo delle debuttanti per via del nodo stadio e potrebb traslocare altrove per le partite casalinghe. Non succede, ma se succede che la Juve Stabia potrà giocarsi i play off e vincerli, sperando che Spezia, Cremonese, Catanzaro etc. etc. subiscano la dura legge del pronostico, Castellammare si vedrà scippato il suo posto nella classifica esclusiva delle 15/16 città del grande calcio. Fantasie: intanto la Holding Breda ufficializzerà a breve l’acquisizione del 52% della società e iscrive le vespe nel club delle italiane d’America, un fattore per nulla banale in un’ottica di grande salto. Langella conserva il 48% come Percassi dell’Atalanta e le suggestioni aumentano, nell’attesa delle ultime sei partite della regular season tra cui gli scontri diretti (fuori casa) contro Cremonese e il Catanzaro al Menti. Non è vero ma ci credo, diceva De Filippo, ma servirebbe un piano da 5 milioni per ampliare la capienza del Menti a 12mila spettatori, assicurare un’area parcheggio collegata alle infrastrutture autostradali e potenziare l’impianto di illuminazione esterno. Insomma, la serie A non sarebbe serie A senza Castellammare dentro. Fantasie: ma fino a un certo punto. La storia delle provinciali che si sono fatte valere in massima serie è lunga: il modello Empoli è anche un esempio di longevità e di resilienza rispetto alle big. Le città e le squadre, dagli albori fino ad oggi, che hanno raggiunto l’obiettivo sono tante e quindi non si tratta di fortuna: basta pensare a Carpi che nel giro di tre anni, dal 2017, è passato dalla C1 alla A dopo una lunga storia nei dilettanti, oppure alla corregionale Sassuolo, ormai stabilmente nel gotha delle provinciali upper class, che si possono permettere di salire e scendere dalla A come e quando gli pare. In questa analisi, quindi, non si parlerà di piccolo club ma di piccole città, di provinciali, di non capoluoghi che ce l’hanno fatta. Nell’era moderna, Cesena è la prima ad aver raggiunto la serie A. Il 10 febbraio 1974, in occasione dell’incontro con il Milan (poi sconfitto per 1-0), “la Fiorita” (oggi stadio Manuzzi) registrò un’affluenza ufficiale di 35 991 spettatori, un record ancora ineguagliato. Ma la regina delle città non capoluogo è Empoli, provincia di Firenze con 48mila abitanti: nel 1985-1986, la squadra guidata in campo dal venticinquenne Walter Mazzarri arrivò quarto nel campionato di Serie B, e fu promossa in A grazie alla penalizzazione del Vicenza per il calcioscommesse. Nella massima serie i toscani ci rimasero con qualche retrocessione per 9 stagioni, con una storica (e breve) partecipazione in Coppa Uefa nel 2007-2008 affrontando gli svizzeri dello Zurigo. Andando agli albori della Serie A sono state altre tre le squadre di città non capoluogo di provincia a conquistare la massima serie. Il Casale (prima dell’avvento del girone unico anche campione d’Italia nel 1913-1914) giocò in A per 4 stagioni dal 1930 e il 1934, il Legnano, ora in Promozione lombarda, vanta 3 partecipazioni tra il 1930 e il 1954 (tutte terminate con l’ultima posizione). E soprattutto la Pro Patria che con 12 stagioni in Serie A dalla sua fondazione fino al 1956 detiene il record di presenze per una “provinciale” nella massima serie, con un nono posto nel 1951-1952. Fondata nel 2016, prosegue de facto la storia dell’Unione Sportiva Novese creata nel 1919, e annovera nel suo palmarès lo scudetto della stagione 1921-1922, risultando quindi una delle tre squadre espressione di un comune non capoluogo di provincia ad aver vinto un campionato italiano (le altre due sono il Casale, sempre dalla provincia di Alessandria e la Pro Vercelli, la cui città di provenienza fece parte della provincia di Novara dal 1859 al 1927). Essa è inoltre, insieme alla Pro Vercelli, una delle due società calcistiche italiane vincitrici dello scudetto in qualità di neopromossa in massima serie. L’avventura in Serie A per il Lecco invece (all’epoca non ancora capoluogo), iniziò il 25 settembre 1960. Per molti anni chi seguiva la Serie A si era abituato a vedere tra le partecipanti il Chievo Verona, l’unica squadra nel calcio italiano ad aver completato, con la prima promozione in Serie A nel 2001, l’intera scalata dalla categoria più bassa alla più alta. Un caso però a parte e abbastanza eccezionale soprattutto per il contesto in cui ebbe origine, e cioè un quartiere di appena cinquemila abitanti a nord-ovest di Verona, sulla riva destra dell’Adige. In Serie A il Chievo ci rimase, con una pausa per la retrocessione in B del 2007, fino al 2019, ottenendo diversi risultati sorprendenti soprattutto nei primi anni, in cui arrivò addirittura a giocare competizioni internazionali. Poi però alcuni problemi giudiziari lo costrinsero a tornare nelle categorie inferiori, quelle in cui aveva giocato per tutta la sua storia fino agli anni Ottanta. Nel 2021 fu escluso da tutti i campionati professionistici e in seguito dichiarato fallito a causa di inadempienze tributarie; in quello stesso anno gli ex calciatori Sergio Pellissier ed Enzo Zanin fondarono una nuova squadra, la Clivense, e la iscrissero al campionato di Terza Categoria. La scorsa primavera la Clivense ha acquistato il marchio del Chievo, acquisendo il nome Chievo Verona.
Rocco Traisci