Un arsenale pronto a seminare terrore e droga ritrovati nel Rione Carceri, nel cuore del clan Gionta. Un’operazione chirurgica, quella messa a segno dai carabinieri di Torre Annunziata, guidati dal ...
Un arsenale pronto a seminare terrore e droga ritrovati nel Rione Carceri, nel cuore del clan Gionta. Un’operazione chirurgica, quella messa a segno dai carabinieri di Torre Annunziata, guidati dal comandante Giovanni Russo, che ha sventato un potenziale bagno di sangue. Armi da guerra e droga nel regno della famiglia dei Valentini: così, il Rione Carceri torna a tremare sotto il peso di un potere criminale che, nonostante i colpi inflitti dallo Stato, continua a mostrare i muscoli. Era tutto pronto. Ogni singolo pezzo, ogni cartuccia, ogni arma. Pronto per essere usato. È quanto emerge dall’ultima operazione condotta dai carabinieri nel cuore del Rione Carceri, storica roccaforte del clan Gionta a Torre Annunziata. In uno stabile abbandonato, i militari hanno fatto una scoperta agghiacciante: un borsone con dentro un vero e proprio arsenale, un concentrato di morte che racconta, meglio di qualunque parola, il livello di pericolo che ancora si nasconde tra i vicoli di un territorio martoriato dalla criminalità. All’interno del borsone, una pistola mitragliatrice Uzi completa di munizionamento, un fucile a pompa carico e pronto a sparare, due pistole – una Browning e una potente 357 Magnum – oltre a quaranta cartucce di vario calibro. Tutte armi perfettamente funzionanti, pronte a entrare eventualmente in azione. Un arsenale da guerra, che lascia pochi dubbi sul suo utilizzo: essere impugnato da un commando di fuoco, pronto a regolare conti o a inviare messaggi di piombo, nel tipico linguaggio della camorra. Non si tratta solo di un deposito di armi, ma di un segnale inequivocabile: la guerra di camorra è tutt’altro che finita. Le armi, infatti, non erano polverose reliquie dimenticate, ma strumenti perfettamente manutenuti, custoditi in modo da essere subito impiegati se necessario. Non si esclude, dunque, che siano state nascoste lì di recente, in previsione di una nuova escalation di violenza. Saranno ora sottoposte a rigorosi accertamenti balistici per verificarne un eventuale coinvolgimento in fatti di sangue o altri episodi criminali. Ma i ritrovamenti non finiscono qui. Nel nascondiglio i carabinieri hanno rinvenuto anche un ingente quantitativo di droga: un chilo di cocaina, un chilo di hashish, un chilo e mezzo di marijuana. Insieme a due bilancini di precisione e a tutto il materiale necessario per il confezionamento delle dosi. Una “base operativa” a tutti gli effetti, dove armi e stupefacenti coesistono, testimoniando la saldatura tra traffico di droga e violenza armata, tra affari e intimidazione. Non è un caso isolato. Solo pochi mesi fa, a settembre in via D’Alagno, nel famigerato «Palazzo dei Contrabbandieri», le forze dell’ordine scoprirono un altro deposito: due fucili, di cui uno molto simile a un’arma usata in un episodio di cronaca che ha scosso la città. Anche in quel caso, lo spettro del clan Gionta aleggiava sul ritrovamento, confermando quanto il controllo del territorio resti ancora una priorità per l’organizzazione criminale, nonostante arresti e condanne. Le operazioni delle forze dell’ordine stanno certamente infliggendo colpi duri alle cosche, ma episodi come questo dimostrano che la lotta è ancora lunga. Il potere del clan Gionta, pur colpito, continua a manifestarsi attraverso la presenza capillare, i rifugi sicuri, i depositi d’armi, le scorte di droga pronte a inondare il mercato. Il messaggio, oggi, è duplice: da un lato, la forza dello Stato che riesce a colpire al cuore le organizzazioni; dall’altro, la resilienza criminale di un sistema che continua a rigenerarsi, armato e pronto a tutto. La battaglia per la legalità, a Torre Annunziata, è tutt’altro che chiusa. E si combatte ogni giorno, casa per casa, muro per muro.