La guerra dei dazi lanciata dall’amministrazione Trump mette in ginocchio le borse di tutto il mondo e spaventa l’economia europea. In modo particolare l’export, soprattutto italiano e campano, ...
La guerra dei dazi lanciata dall’amministrazione Trump mette in ginocchio le borse di tutto il mondo e spaventa l’economia europea. In modo particolare l’export, soprattutto italiano e campano, vive giorni difficili.
Giovanni De Angelis, direttore generale dell’Anicav, l’associazione che raggruppa le aziende conserviere e di trasformazione del pomodoro: le vostre imprese sono preoccupate?
«C’è molta preoccupazione perché per un settore come quello conserviero, che nasce proprio per favorire le esportazioni e per un’esigenza di internazionalizzazione questi dazi sono un pericolo. Ricordo, infatti, che l’industria moderna della trasformazione del pomodoro nasce proprio per l’esigenza di export».
In che senso?
«Decenni fa il pomodoro veniva consumato per la parte familiare degli italiani. L’industria nasce quando viene fuori l’esigenza dei nostri migranti in Usa o in Australia di portare con se pasta, pomodoro e olio d’oliva per conservare le tradizioni».
Parliamo di numeri che oggi sono importanti?
«L’intero settore vale 5,5 miliardi di euro, di cui 3 miliardi di euro sono legati all’export. Ovviamente anche in Europa, ma gli Stati Uniti sono il principale mercato per il pomodoro se teniamo fuori il Regno Unito post Brexit. E questo vale ancora di più per le aziende del’agro nocerino e sono legate a doppio filo all’export. Buona parte di questi tre miliardi vengono da quest’area geografica. E, aggiungo, che buona parte di questi 220 milioni di euro di valore dell’export negli Usa come derivati del pomodoro, pelato in primis, e poi passata e pomodorino i 3/4 vengono sempre da queste aziende».
Del resto la battaglia contro i dazi non è una cosa nuova, Direttore?
«Da sempre il pomodoro è oggetto di dazio da parte degli Usa. Ma qui parliamo di dazi aggiuntivi. Quelli decisi da Trump sono il 20% e si applicano e si aggiungono al 12,50 di dazio massimo che avevamo sui principali prodotti. Nel totale, dunque, parliamo di un 32,50% in più. Una tassa che, nonostante l’apprezzamento dei consumatori americani sul nostro prodotto per la grande qualità, incide sulle tasche dei cittadini che ci penseranno due volte prima di comprare».
Sono giorni intensi di confronti e di dibattiti: voi cosa pensiate si debba fare?
«Noi non possiamo cambiare la decisione politica, ma speriamo in una risposta dell’Ue che sia ferma e prudente allo stesso tempo. Immaginiamo che i dazi ritorsivi siano necessari laddove utili a una negoziazione. Nella prima amministrazione Trump il pomodoro era escluso, ora invece sono previsti tutti i prodotti. Al di là del giudizio complessivo sulla iattura dell’intervento e sul protezionismo che in un’economia di libero mercato non hanno senso, noi siamo costretti a spiegare ai nostri consumatori americani che non dipende dalla volontà aumentare i prezzi, ma di certo non possiamo farci carico di questa tassazione perchè i margini sono bassi e non sono quelli di altri settori. Siamo consapevoli che questa misura comporterà una contrazione del mercato e dei consumi. Certo ci sono i mercati alternativi e non siamo stati fermi. Ma espanderci in altre zone, come il Giappone o la Cina è piuttosto complesso per tanti motivi».
Qualche azienda pensa anche di delocalizzare la produzione negli Usa ad esempio? «Certo, ma noi come facciamo? Portare pomodori su aerei refrigerati e fare la produzione là è impossibile. Le nostre sono aziende di prima trasformazione e gli stabilimenti vanno collegati ai territori. Dobbiamo processare un prodotto agricolo nel raggio di 200 km a tre o quattro ore dallo stabilimento. Questa è la nostra forza e il nostro valore sul mercato».