Pizzo al porto, a processo i Fontana. La Dda di Napoli ha chiesto e ottenuto il giudizio immediato per Mauro, Alfonso, Ciro e Francesco Fontana, e Cristina Schiavone accusati a vario titolo di estorsi...
Pizzo al porto, a processo i Fontana. La Dda di Napoli ha chiesto e ottenuto il giudizio immediato per Mauro, Alfonso, Ciro e Francesco Fontana, e Cristina Schiavone accusati a vario titolo di estorsione aggravata dal metodo mafioso ai danni di un titolare di una banchina al porto borbonico. Il giudice per le indagini preliminari di Napoli Federica De Bellis ha dato così il via libera alla richiesta di processo dell’antimafia con la prima udienza del procedimento che è stata fissata per la fine di maggio. Duecento euro al giorno, un rateo settimanale di 1150 euro, per un totale di 10mila euro al mese. Un tariffario fisso che un imprenditore che gestiva un pontile al rione dell’Acqua della Madonna, rione del centro antico di Castellammare, versava a Mauro e Francesco Fontana. Un tariffario che emerge dalle 76 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare eseguita lo scorso gennaio dai carabinieri della compagnia di Castellammare che arrestarono, oltre a Mauro e Francesco Fontana, 49 e 57 anni, Ciro e Alfonso Fontana, 36 e 66 anni, e Cristina Schiavone, 63 anni, quest’ultima è agli arresti domiciliari. Un’inchiesta- sostituto procuratore Giuseppe Cimmarotta, Gip Federica De Bellis- che ha acceso i fari sul pizzo imposto a un imprenditore che opera sui pontili della zona, che era costretto a pagare la famiglia Fontana, che secondo gli investigatori aveva messo in piedi un vero e proprio clan attivo nel centro storico, che controllava più affari illeciti. Le indagini erano in corso già da tempo, ma hanno avuto un’accelerata dopo l’omicidio di Alfonso Fontana, ventiquattrenne ucciso a Torre Annunziata a inizio febbraio 2024. Dal giorno di quell’omicidio si è cercando di stringere il cerchio sulle organizzazione criminali di Castellammare di Stabia, anche per scongiurare il rischio di un’escalation di violenza. Gli 007 hanno quindi fatto quadrato attorno al giro di estorsioni al rione dell’Acqua della Madonna, core business degli affari criminali della famiglia Fontana. E i numeri dell’inchiesta lo dimostrano. Tra le carte si legge che Mauro Fontana, in particolare, incassava, per l’antimafia a titolo estorsivo “avvalendosi della forza intimidatrice del gruppo dei Fasano”, 70 euro al giorno, un rateo settimanale di 650 euro, per un totale di 4000mila euro al mese. Più alto il compenso per il fratello maggiore, Francesco alias Chiccone: 130 euro al giorno, un rateo settimanale di 400 euro, per un totale di 6mila euro al mese. Cifre che l’imprenditore titolare di un pontile all’Acqua della Madonna versava con cadenze fisse ai due fratelli. Un elemento che a dire al vero è stato già usato dalla difesa dei due indagati, entrambi impiegati, senza l’esistenza di un contratto, nell’azienda della vittima. Queste cifre, secondo la versione della difesa, altro non sarebbero che dei compensi a titolo lavorativo. Una tesi che è stata portata al Tribunale del Riesame che ha invece blindato le accuse dell’Antimafia confermando le misure cautelari in carcere per i due indagati. Alfonso, Ciro Fontana e Cristina Schiavone- marito, figlio e moglie- avevano invece messo insieme un sistema che prevedeva il pagamento del pizzo attraverso una postepay intestata alla Schiavone. In sostanza, quando Alfonso Fontana era lontano da Castellammare, il figlio, Ciro, secondo l’accusa, riscuoteva materialmente, con cadenza fissa, 180 euro dalla vittima che poi ricaricava, nello stesso punto vendita, al padre. Accuse che il collegio difensivo composto dagli avvocati Raffaele Pucci e Catello Di Capua proveranno a smontare.