Grazie alle sue capacità diplomatiche il clan D’Alessandro ha gonfiato e non poco i suoi affari e soprattutto è riuscito ad estendere il controllo sull’intero territorio dell’area stabiese. Pa...
Grazie alle sue capacità diplomatiche il clan D’Alessandro ha gonfiato e non poco i suoi affari e soprattutto è riuscito ad estendere il controllo sull’intero territorio dell’area stabiese. Paolo Carolei, alias «Paoluccio», 54enne, è in carcere dallo scorso maggio con l’accusa di essere il mandante del duplice omicidio dell’innocente Federico Donnarumma e del ras Carmine D’Antuono, ma secondo la Dda le sue azioni per conto del clan D’Alessandro sono ancora alla base di alcuni degli affari criminali della cosca. Di lui parlano tutti i principali collaboratori di giustizia: Pasquale Rapicano, Renato Cavaliere, Salvatore Belviso, Raffaele Polito e Luciano Fontana. Da tutti i verbali o almeno, da quelli che non sono omissati, viene fuori il ritratto di un uomo estremamente accorto, «intelligente», astuto, e soprattutto con una spiccata dose di diplomaticità. Tutte capacità che, secondo l’antimafia, l’hanno portato ad essere per un certo periodo il reggente del clan D’Alessandro. Un traguardo, nelle logiche criminali, non da poco visto che la cosca di Scanzano, almeno da quello che racconta il collaboratore Salvatore Belviso, tramanda il comando degli affari criminali solo in linea familiare. Un sistema molto semplice: «Morto don Michele, comanda il primo figlio. Se questo è in carcere comanda il secondo. E così si va avanti arrivando anche ai figli di Luigi D’Alessandro, fratello di Michele». Una linea che non si è mai rotta per quasi mezzo secolo, fino a che Carolei non mise in pratica le sue capacità diplomatiche. Secondo il collaboratore di giustizia Pasquale Rapicano il boss, con un passato anche nel clan Cesarano di Ponte Persica, è l’artefice dell’alleanza tra i D’Alessandro e il clan Di Martino di Gragnano. Un patto di ferro stretto grazie ad un matrimonio «politico». Infatti l’ex bocca di fuoco del clan racconta che «la figlia di Carolei sposò Fabio Di Martino, figlio di Leonardo ‘o lione, e da li si siglò l’alleanza tra le cosche». Un patto di ferro che secondo l’accusa era basato sull’import ed export a prezzi agevolati di cocaina e marijuana. Forte di questa posizione, e sfruttando il fatto che tutti gli esponenti di spicco del clan fossero in carcere, per l’antimafia assunse anche la reggenza del clan D’Alessandro. Ma dopo poco scattarono le manette. Carolei, in vari carceri d’Italia, e per qualche anno anche al 41 bis, ha scontato una condanna per usura e associazione a delinquere di stampo mafioso. A Catanzaro ha trascorso l’ultimo periodo della sua detenzione e, come raccontano gli atti dell’inchiesta «Open gates», si sarebbe adoperato, tramite un secondino corrotto, di far arrivare dei pacchi, usando i servigi di un suo fedelissimo, in carcere al killer Giovanni Iapicca, esponente del clan Gionta di Torre Annunziata. Un gesto, secondo l’accusa, per rafforzare l’alleanza dei D’Alessandro con il clan dei Valentini di Torre Annunziata. Rimasto in libertà per due anni, è tornato in carcere lo scorso maggio ed ora rischia l’ergastolo in quanto accusato di essere il mandante del duplice omicidio, commesso nell’ottobre del 2010, di Carmine D’Antuono e Federico Donnarumma. Il suo bersaglio- Donnarumma fu ucciso per errore- era Carmine D’Antuono, ritenuto un personaggio «scomodo», visto la sua appartenenza al clan Imparato, all’alleanza con i Di Martino. L’antimafia, forte del racconto di tre pentiti, ha chiesto il fine pena mai. Questa mattina al tribunale di Napoli, ci sarà la discussione difensiva e probabilmente a seguire la sentenza.