Stefano De Simone è il responsabile dell’unità di ortopedia della Casa di Cura Maria Rosaria a Pompei. Il robot, che è nella disponibilità della struttura sanitaria di Pompei, raccoglie dati precisi e numerosi dettagli relativi all’anatomia del paziente prima e durante l’intervento di sostituzione ortopedica del ginocchio. Grazie a sensori altamente sensibili, il robot ROSA sa in tempo reale dove e come è posizionato il ginocchio. Da tempo, infatti, il management della Casa di Cura Maria Rosaria sta puntando tutto sulla qualità degli investimenti per mettere a disposizione del suo personale, già altamente specializzato, prodotti tecnologici di altissima precisione capaci di aiutare i medici nella soluzione dei problemi legati alla casistica clinica. Al dottor De Simone chiediamo lumi sul funzionamento e sull’utilizzo della robotica nell’ortopedia.
Come funziona questo robot?
«Il robot è costituito da due unità: un’unità robotica con braccio robotico e un’unità ottica. Entrambe predispongono di un monitor touch screen che può essere utilizzato sterilmente dall’operatore oppure fuori campo, in maniera non sterile, da altro personale. Queste componenti, posizionate ai lati del letto operatorio dove risiede il paziente, acquisiscono le informazioni prelevate da sensori posizionati sul femore e sulla tibia del paziente e informazioni acquisite da un puntatore, utilizzato dal chirurgo ortopedico, che va a recepire i cosiddetti reperi anatomici e li digitalizza sul monitor. Questo flusso di lavoro confluisce poi all’interno di un software localizzato nell’unità robotica con braccio robotico. L’obiettivo finale è quello di avere l’asse globale dell’arto inferiore del paziente, ossia l’asse tra l’anca, il ginocchio e la caviglia».
A questo punto dell’intervento che cosa fa il robot?
«A questo punto il robot ha identificato l’asse del paziente che ovviamente è un asse patologico perché presenta una deviazione sul piano frontale, o in valgo oppure in varo. Il robot pianifica le resezioni ossee che sono necessarie per correggere questa deformità assiale e riportarla a quello che è definito come asse meccanico, ossia un asse fisiologico, un asse neutro».
Terminata la pianificazione delle resezioni, termina anche il ruolo del robot?
«No, una volta che è stato identificato l’asse meccanico ed è stata corretta la deviazione assiale del paziente, quasi sempre residua un’instabilità legamentosa e il robot è in grado di identificare il grado di lassità legamentosa. Entra quindi in gioco l’esperienza del chirurgo ortopedico che sceglie se affidarsi al robot e riallineare in maniera meccanica l’arto oppure modificare questo allineamento verso allineamenti definiti cinematici o meccanici modificati, quindi ridurre il grado di lassità legamentosa. Questo avviene sia modificando il grado di resezione, sia modificando l’entità della resezione ossea».
Quali sono i vantaggi della tecnica robotica?
«Una maggiore accuratezza nelle resezioni ossee, una minore perdita ematica legata al fatto che non viene violato il canale femorale e la possibilità di controllare quanto pianificato intraoperatoriamente in qualunque momento. Il risultato finale è sicuramente una maggiore stabilità articolare».
Tutti possono utilizzare il robot?
«Sì, è però necessaria prima una formazione a termine della quale viene rilasciato un patentino necessario per l’utilizzo del robot». Quanto è importante il ruolo dell’equipe?
«L’equipe è fondamentale: preferisco lavorare sempre con le stesse persone con le quali, nel tempo, si è creata una sinergia sia dal punto di vista lavorativo che umano grazie alla quale riusciamo a gestire spazi, ridotti con la presenza del robot, e tempi in maniera ottimale. Loro prevedono le mie necessità e io mi fido delle loro capacità. Quando parlo di equipe non mi riferisco solo agli ortopedici ma a tutto il personale dall’anestesista agli infermieri, allo strumentista».
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