Estorsioni e prestiti a strozzo agli imprenditori, processo bis per il Ras Luigi Belviso, il fratello Raffaele, Andrea Bambace, Francesco Corbelli classe ’88, e Fracesco Corbelli classe ’60. E�...
Estorsioni e prestiti a strozzo agli imprenditori, processo bis per il Ras Luigi Belviso, il fratello Raffaele, Andrea Bambace, Francesco Corbelli classe ’88, e Fracesco Corbelli classe ’60. E’ stata fissata per la metà di aprile la prima udienza di fronte alla corte d’appello di Napoli del procedimento nato dall’inchiesta Vichinghi bis che ha fatto luce sulle dinamiche interne del clan Cesarano. Gli imputati in primo grado sono stati giudicati con il rito abbreviato, insieme al boss Vincenzo Cesarano, alias o’mussone, e Bartelomeo Langellotto. Per entrambi le condanne- rispettivamente a 10 anni di carcere e 5 anni e 8 mesi- sono diventate definitive. Due capi con ambizioni differenti per un clan che era pronto ad entrare in un nuova faida interna che avrebbe potuto aprire una drammatica scia di sangue. Questo lo scenario che viene fuori dalle 136 pagine delle motivazioni della sentenza che hanno portato alla condanna in primo grado per cinquantotto anni di carcere per i sette imputati- Luigi Belviso, 12 anni, Raffaele Belviso, 10 anni e 4 mesi, Francesco Corbelli, 5 anni e 8 mesi, Francesco Corbelli, classe ’60, 6 anni, Andrea Bambace, 8 anni- accusati di di aver guidato o di aver fatto parte del clan Cesarano, la cosca che da quasi mezzo secolo gestisce gli affari criminali della zona a confine tra Castellammare e Pompei, sino ad estendersi nel vesuviano e nel basso salernitano. Il collegio difensivo composto dagli avvocati Giuliano Sorrentino, Raffaele Chiummariello, Gennaro Somma, e Francesco Schettino, proverà a ribaltare l’esito del primo grado in appello mentre, sempre al tribunale di Torre Annunziata, è ancora in corso il processo nato dalla stessa inchiesta per gli indagati che hanno scelto di essere giudicati con il rito ordinario. Le parole del gip Lucia De Micco nella sentenza di primo grado rappresentano una prima vittoria dell’antimafia- sostituto procuratore Giuseppe Cimmarotta- che ha confermato quasi per intero la ricostruzione fatta dai carabinieri di Castellammare nell’ambito dell’indagine Vichinghi Bis, nata a seguito del pestaggio dell’ex autista del boss Luigi Di Martino, che si verificò nel 2018 in via Annunziatella. La prima parte di quel lavoro condotto dai militari si concluse con gli arresti di capi e gregari del gruppo criminale che avevano preso in mano le redini del quartiere Cmi, staccandosi progressivamente dal clan Cesarano. Ma è proprio nell’ambito di quel procedimento che comincia a delinearsi lo scenario relativo al nuovo assetto della cosca di Ponte Persica. La ricostruzione dei carabinieri fa luce su uno spaccato di un mondo di dinamiche sommerse pronte ad esplodere in una guerra interna al clan Cesarano. Il gip si concentra soprattutto tra il contrasto interno al clan nato tra Luigi Belviso e Vincenzo Cesarano, con il primo che voleva scalare le gerarchie della cosca “mettendo al parcheggio” o’mussone, accusato di non “saper gestire” le dinamiche criminali, di non garantire il dovuto “rispetto” agli affiliati in carcere, e di non avere lo stesso carisma dei due boss storici del clan, Ferdinando e Gaetano Cesarano, entrambi reclusi al 41bis. Grazie al lavoro dei carabinieri nel febbraio del 2020 si riesce a ricostruire un summit all’interno di un parcheggio di un locale nella zona del Petraro ai quali hanno partecipato Vincenzo Cesarano, Luigi Belviso, e i due promotori del “terzo sistema”, Silviero Onorato e Raffale Polito. Per gli inquirenti quell’incontro avrebbe avuto le finalità della spartizione del territorio per evitare contrasti che avrebbero potuto attirare l’attenzione della Dda. L’equilibrio del clan, dopo una serie di frizioni, si rompe definitivamente nel febbraio 2021, una decina di giorni dopo l’arresto dei gregari del terzo sistema- “compagni di Belviso”- ad opera della polizia di Castellammare, quando Belviso subisce un attentato incendiario all’auto della moglie. Un affronto che aveva messo in allerta il ras e che da quel momento aveva deciso di ricostruire, per capire mandanti ed esecutori, cercando di attingere a tutti quei contatti che grazie anche al fratello Raffaele, recluso al carcere di Secondigliano e con il quale era in contatto costante tramite una sim e un telefono introdotto in carcere, era riuscito a costruire. Da qui inizia a prendere forma il disegno criminale di Belviso-che aveva ricevuto. secondo l’accusa. anche il placet da Gaetano Cesarano, tramite il genero Giovanni Cafiero, ancora sotto processo con l’ordinario- pronto eventualmente a “fare una guerra” sfruttando le sue alleanze per prendere in mano la cosca. Così da queste intercettazioni, dalle immagini catturate dai militari all’interno della concessionaria di Langellotto, dove si tenevano i summit di camorra, i carabinieri sono riusciti a ricostruire i movimenti illeciti e gli affari del clan Cesarano. Belviso lamentava, in particolare con Cafiero, che “per colpa di o’mussone aveva nemici da tutte le parti” e che, addirittura, temesse per la sua vita. Così si confida dicendo che due anni prima, nei pressi del Sarno, era riuscito a sfuggire ad un agguato, e che, tra le varie ipotesi, l’attentato incendiario subito era stato commesso per essere messo in cattiva luce con Catello Martino, ras del Savorito e condannato all’ergastolo per l’omicidio di Alfonso Fontana. Ma ancora il ras “rinfacciava” al boss o’mussone la pessima gestione degli affari con l’ambiente che veniva definito “una giungla”, e che, tramite un terzo, riscuoteva una serie di estorsioni, citando anche un noto ristorante di Sant’Antonio Abate, trattenendo per se i proventi all’oscuro degli affiliati. Questi e tanti altri episodi avevano creato una frattura nella cosca di Ponte Persica, che, come ricorda il gip, nonostante la detenzione dei due storici boss, controllava un volume di affari che si era infiltrato in molte branche dell’economia del territorio. Tutte accuse il collegio difensivo proverà a ribaltare nel processo d’appello.