Sono iniziate mercoledì le discussioni difensive per il processo che si sta tenendo con il rito abbreviato e che vede alla sbarra boss e gregari del clan di Moscarella. La sentenza è fissata per la ...
Sono iniziate mercoledì le discussioni difensive per il processo che si sta tenendo con il rito abbreviato e che vede alla sbarra boss e gregari del clan di Moscarella. La sentenza è fissata per la metà della prossima settimana. Nel corso della requisitoria la Dda ha chiesto 76 anni e mezzo di carcere per boss e gregari: 12 anni di condanna per il boss Michele Onorato (60 anni), 10 anni per Salvatore Scotognella (28 anni), 6 anni e 9 mesi per Pasquale Palma (48 anni), 6 anni per Carmela Zurlo (57 anni), 10 anni per Silverio Onorato (35 anni), 6 anni per Renato Avitabile (22 anni), 7 anni per Luciano Polito (39 anni), 8 anni per Giuseppina Concilio (59 anni), 6 anni e 6 mesi per Michele Santarpia (42 anni) e 4 anni per Maria Onorato (36 anni). Le accuse sono, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, estorsione, tentata estorsione, detenzione di armi e droga, ai fini di spaccio. Secondo l’Antimafia a coordinare le attività del gruppo erano Michele Onorato e suo figlio Silverio che nonostante fossero reclusi in carcere riuscivano a comunicare tra loro e con gli altri affiliati, attraverso i cellulari introdotti in modo illecito nelle celle. Per questo motivo per entrambi, su richiesta dell’Antimafia, è stato disposto il carcere duro. Michele Onorato aveva affidato il ruolo di esattore a Salvatore Scotognella, che – questa la tesi degli investigatori – a volte si avvaleva della collaborazione di Pasquale Palma e Renato Avitabile. Quest’ultimo si occupava anche del traffico di stupefacenti. I soldi delle estorsioni venivano consegnati a Carmela Zurlo, moglie di Michele Onorato, che si occupava di pagare le mesate agli affiliati detenuti. Quando Scotognella fu arrestato dalle forze dell’ordine, Onorato decise subito di affidarsi al genero Michele Santarpia, compagno di Maria Onorato, per la riscossione del pizzo. Gli altri affari, come i prestiti a strozzo e lo spaccio erano invece delegati alla famiglia Polito. Luciano Polito, già ritenuto ai vertici del Terzo Sistema, attraverso il lavoro di ‘o pimuntese in carcere, sarebbe riuscito a piazzare la vendita di un grosso quantitativo di cocaina a un gruppo di Roma. Mentre sua madre, Giuseppina Concilio, si occupava della gestione della cassa comune e aveva l’autorizzazione a concedere prestiti usurai. Accuse che il collegio difensivo composto dagli avvocati Gennaro De Gennaro, Renato D’Antuono, Mariano Morelli, Giuliano Sorrentino, Michele Torrente e Olga Coda, proverà a scardinare.