Gaetano Iacolare, l’autista del commando che uccise il giornalista Giancarlo Siani, tornerà in libertà dopo aver scontato 24 anni di detenzione. L’uomo, oggi 65enne, sarà ufficialmente scarcera...
Gaetano Iacolare, l’autista del commando che uccise il giornalista Giancarlo Siani, tornerà in libertà dopo aver scontato 24 anni di detenzione. L’uomo, oggi 65enne, sarà ufficialmente scarcerato a fine aprile, il 28, dopo aver terminato la sua pena. Arrestato nel marzo del 2001 in un casolare alla periferia di Marano di Napoli, Iacolare è stato condannato per il suo ruolo nell’omicidio di Siani, avvenuto il 23 settembre 1985 in piazza Leonardo, a Napoli. È lì che un commando di killer sopraggiunse nei pressi dell’abitazione del giornalista, che in quel momento faceva ritorno a casa a bordo della propria Citroën Mehari. I sicari aprirono il fuoco, colpendolo più volte al volto e uccidendolo sul colpo, senza lasciargli scampo. Secondo la sentenza definitiva, fu Iacolare a guidare l’auto del commando che assassinò il giovane cronista de Il Mattino. Iacolare appartiene a una famiglia con profonde radici nella camorra maranese: è infatti nipote di Angelo e Lorenzo Nuvoletta, storici boss legati a Cosa Nostra e ai corleonesi di Totò Riina. L’omicidio di Siani, secondo le indagini, fu ordinato proprio dal clan Nuvoletta dopo la pubblicazione di un articolo in cui il giornalista ipotizzava un tradimento dei boss nei confronti dell’alleato Valentino Gionta. Nell’articolo, pubblicato su Il Mattino, Siani scriveva che l’arresto di Gionta – avvenuto il 10 giugno 1985 a Marano di Napoli, una zona sotto il controllo dei Nuvoletta – poteva essere il frutto di una “soffiata” da parte degli stessi Nuvoletta, interessati a porre fine alla guerra tra il clan di Gionta e quello dei Bardellino, altro gruppo potente della criminalità organizzata campana. Il passaggio incriminato dell’articolo recitava: «La sua cattura potrebbe essere il prezzo pagato dagli stessi Nuvoletta per mettere fine alla guerra con l’altro clan di “Nuova Famiglia”, i Bardellino». Questa ipotesi fece infuriare i boss, che decisero di eliminare il giornalista. Fu così che, il 23 settembre 1985, venne eseguita la sua condanna a morte. Inizialmente assolto in primo grado, Iacolare fu poi condannato nei successivi gradi di giudizio a 28 anni di reclusione. A differenza degli altri membri del commando – Ciro Cappuccio, Armando Del Core e Luigi Baccante – condannati all’ergastolo, ha beneficiato di uno sconto di pena grazie alla buona condotta, che gli ha permesso di anticipare la sua scarcerazione dopo 24 anni, con lo scomputo, per ogni semestre di detenzione, di 45 giorni dal totale della pena detentiva. Nonostante la condanna, Iacolare si è sempre dichiarato innocente: «Sono stato condannato solo perché ero l’unico che aveva la patente di guida in quel gruppo», ha ripetuto più volte. Ha inoltre sottolineato la discordanza tra le testimonianze dei collaboratori di giustizia: «Non ci sono due pentiti che dicano la stessa cosa su quell’omicidio». La notizia della scarcerazione di Iacolare riaccende il ricordo di un delitto che segnò profondamente il giornalismo italiano e la lotta alla criminalità organizzata. Giancarlo Siani fu ucciso a soli 26 anni per il suo impegno nel raccontare le dinamiche mafiose e i legami tra politica e camorra, in particolare a Torre Annunziata. Non era ancora un giornalista professionista: lavorava come corrispondente de Il Mattino, ma il suo lavoro era già scomodo per i boss. Attraverso le sue inchieste, denunciava il sistema di connivenze tra camorra, affari e politica, facendo luce su temi che molti preferivano ignorare: dai «muschilli» agli appalti truccati. La sua figura è diventata un simbolo della libertà di stampa e dell’impegno civile. Il suo sacrificio continua a ispirare nuove generazioni di giornalisti e cittadini che lottano per la legalità.