La Cassazione ha scritto la parola fine al processo «Olimpo» che ha avuto una grande eco mediatica dovuta al coinvolgimento dell’imprenditore stabiese Adolfo Greco. Per lui, una condanna in primo grado ribaltata poi da due assoluzioni.
Professor Vincenzo Maiello, ordinario di diritto penale alla Federico II, cosa resta dopo anni di udienze e discussioni?
«Le rispondo con una domanda che mi sono posto spesso e che ancora adesso mi pongo: a chi ha giovato? e a cosa?».
Lo considera dunque un calvario giudiziario per Adolfo Greco?
«Tanto per iniziare, potrei sottolineare l’accanimento cautelare nei confronti dell’imprenditore: non possiamo dimenticare che la sua assoluzione definitiva giunge al termine di un percorso iniziato con due anni e mezzo di detenzione in carcere e ai domiciliari. Ma ci sono anche altri aspetti che lasciano l’amaro in bocca».
Per esempio?
«Greco è stato definito con etichette intollerabili: “re del latte”, “monopolista” o peggio ancora. Questa narrazione dai toni esasperati ha creato gravissimi danni economici alla sua azienda e al territorio sul quale operava, soprattutto ha messo in discussione i livelli occupazionali che l’imprenditore garantiva ».
Ritiene che ci sia stata una spettacolarizzazione dell’inchiesta e del processo?
«Su questo aspetto sono convinto che i media hanno ancora una grande responsabilità nel contribuire a diffondere presso l’opinione pubblica la cultura del giusto processo, la cultura della presunzione di non colpevolezza, il fatto che un conto è la tesi dell’accusa e un altro è la sentenza del giudice. Il mondo dell’informazione giudiziaria ha enormi responsabilità, si può considerare una sorta di appendice delle procure della Repubblica: vanno seguite le fasi delle indagini, ma anche le fasi processuali con grande attenzione, tatto e competenza».
Torniamo al processo durante i quali lei ha sostenuto con forza, e alla fine ha provato, l’innocenza di Adolfo Greco assieme agli altri colleghi del collegio difensivo (Ettore Stravino, scomparso alla fine del 2023, e Stefano Montone).
«Un processo complesso che, almeno nella fase iniziale, è stato sbilanciato perché c’è stata quella che io chiamo la contaminazione della cultura accusatoria tra il pubblico ministero e il giudice».
Un tema, questo, che è al centro del dibattito rovente che si è acceso attorno alla riforma costituzionale della magistratura.
«Al netto del caso in questione, il magistrato che sostiene l’accusa e quello che giudica non possono che essere separati, ognuno deve guardare all’altro non come un collega ma come un soggetto distinto all’interno della giurisdizione ».