Sant’Antonio Abate. Uccise il fratello per intascare la polizza sulla vita che pochi mesi prima gli aveva fatto sottoscrivere e poi tentò di bruciare il cadavere in un fondo agricolo: confermato a...
Sant’Antonio Abate. Uccise il fratello per intascare la polizza sulla vita che pochi mesi prima gli aveva fatto sottoscrivere e poi tentoÌ di bruciare il cadavere in un fondo agricolo: confermato an- che in Appello l’ergastolo nei confronti di Antonio Martone, oggi 38enne. Lo ha stabilito la Secon- da Sezione Penale della Corte di Appello di Napoli – presidente Saraceno – che ha accolto la richiesta avanzata dal procuratore generale, respingendo la richiesta della difesa di ri- vedere il «fine pena mai». Un delitto abietto, «come quello di Caino verso Abele», come ebbe a dire il pm della procura di Torre Annunziata Emilio Prisco nella sua requisitoria, a fine ottobre 2023, in cui chiese l’ergastolo per Antonio Martone. Il 38enne di Sant’Antonio Abate accusato di aver ucciso il fratello 33enne Domenico e di aver tenta- to di disfarsi del cadavereappiccandovi fuoco, in un fondo in affitto alla famiglia, a confine tra Sant’Antonio Abate e Let- tere. A novembre 2023 la Corte d’Assise di Napoli accolse in pieno la richiesta dell’accusa, condannando il fratricida al car- cere a vita, riconoscendo oltre alla responsabilitaÌ del delitto anche le aggravanti della crudeltaÌ e della premeditazione. Un delitto atroce rispetto al quale, secondo quanto rimarcato dall’accusa nel corso del processo di primo grado, Antonio Martone non aveva mai dato segni di pentimento, neÌ tantomeno lo ha mai confessato.L’omicidio avvenne circa un anno e mezzo fa, il 29 marzo 2022.«Antonio Martone – la tesi dell’accusa – aveva pianificato tutto da molti mesi, spingendo il fratello a sottoscrivere delle polizze assicurative sulla vita di cui era il beneficiario, e tentoÌ di incassarle subito dopo il delitto, quando ancora il cadavere non era stato neanche identificato ufficialmente». SiÌ, percheÌ la crudeltaÌ con cui eÌ stato messo in atto l’omicidio eÌ agghiacciante. «Domenico Martone – aveva ricostruito in aula il pm Prisco – venne portato con una scusa in montagna, in un fondo al confine tra Sant’Antonio Abate e Lettere, che la famiglia Martone conduceva in af- fitto. LiÌ, dopo essere stato colpito alla testa, quandoera ancora vivo, gli venne dato fuoco».Da qui l’unica conclusione possibile secondo la pro- cura: fine pena mai. Domenico Martone, ex operaio del pastificio Ga- rofalo di Gragnano, si era fidato di chi lo aveva condotto nel terreno di fa- miglia, in via San Paolo. I due fratelli erano insieme durante il percorso, interamente ricostruito dagli inquirenti. Una volta arrivati, l’auto era stata parcheggiata poco lontano da una vecchia tettoia, utilizzata dal padre per riparare gli attrezzi agri- coli. E proprio sotto alla tettoia era stato trovato il corpo semicarbonizzato di Domenico, tramortito prima con un colpo alla nuca dal fratello maggiore e poi bruciato. Antonio aveva lasciato tra le fiamme il fratello, andando via come se nulla fosse. Dopo un paio di settimane in base ad indizi schiaccianti era stato arrestato. I sospetti erano immediatamente caduti su di lui, ed era finito anche sotto intercettazioni. Parlando da solo, in auto, il giorno dopo l’omicidio quando andoÌ a riprendere l’auto del fratello, senza sapere di essere ascoltato e regi- strato, affermoÌ «se scam- po anche questa, o faccio la botta o mi ammazzo solo io, o posso prendere il posto di Lupin». PiuÌ di una confessione, che va ad aggiungersi al movente, altrettanto evidente: incassare quella ricca polizza e scappare all’estero a godersi la vita. Dopo aver ucciso il fratello.