Omicidio Covito, a processo il boss del clan Cesarano Luigi Di Martino e il suo presunto complice Gennaro D’Antuono. L’accusa, rappresentata dal pm dell’Antimafia Giuseppe Cimmarotta, ha ottenut...
Omicidio Covito, a processo il boss del clan Cesarano Luigi Di Martino e il suo presunto complice Gennaro D’Antuono. L’accusa, rappresentata dal pm dell’Antimafia Giuseppe Cimmarotta, ha ottenuto il giudizio immediato per gli imputati. La prima udienza del processo è stata fissata per la metà di Gennaio di fronte alla prima sezione della Corte d’Assise del tribunale di Napoli. L’accusa è di omicidio aggravato dal metodo mafioso per aver materialmente ammazzato nel novembre del 2000 Pietro Covito, ritenuto un personaggio vicino ad un gruppo criminale emergente e rivale del clan Cesarano. Tommaso Covito è alla guida della sua auto, una Volkswagen Polo, sulla quale viaggiano anche Agostino Cascone e Pasquale D’Aniello. Stanno percorrendo via Petraro a Santa Maria la Carità quando vengono avvicinati da due sicari in sella a una motocicletta che esplodono tre colpi di pistola, centrando alla testa e al torace Covito, senza dargli scampo. Poi i killer accelerano e scompaiono nel buio di un freddo 12 novembre del 2000. Un cold case che è stato risolto lo scorso settembre quando i carabinieri del comando del gruppo di Torre Annunziata hanno eseguito un’ordianza di custodia cautelare in carcere nei confronti di Luigi Di Martino (63 anni), alias ‘o profeta, e Gennaro D’Antuono (50 anni), che al tribunale del Riesame lo scorso ottobre ha già ottenuto la scarcerazione .Secondo le indagini coordinate dalla Procura Antimafia di Napoli (sosti- tuto procuratore Giuseppe Cimmarotta), sarebbero stati proprio Di Martino e D’Antuono a mettere a segno l’omicidio di Covito, nell’ambito di uno scontro tra il clan Cesarano e un nuovo gruppo scissioni- sta che in quel periodo si stava formando tra i quartieri Moscarella e Cmi, ed era composto prevalente- mente da persone che a cavallo tra la fine degli anni Ottanta e Novanta avevano militato tra le file del clan di Mario Umberto Imparato e poi erano transitati per la cosca di Ponte Persica. Sono state le rivelazioni del collaboratore di giustizia Pasquale Rapicano, ex killer del clan D’Alessandro, a permettere nel 2020 di riaprire le indagini sull’omicidio di Tommaso Covito, detto “zione”, che fu ammazzato all’età di 27 anni. L’inchiesta era stata archiviata nel 2004, quando nel registro degli indagati era iscritto solo Gennaro D’Antuono. Nel 2020 però, Rapicano racconta agli inquirenti: «L’omicidio di Tommaso Covito, detto “zione”, è stato commesso dal figlio di D’Antuono, in corso con Luigi Di Martino, detto “il Profeta”. Ho appreso di questo omicidio da Paolo Carolei, il quale ci riferì che Covito era stato vitti- ma di una trappola e che comunque era stato spara- to dal “Profeta”, in quanto si era preso dei soldi dal Mercato dei Fiori che non gli spettavano e per questo fu eliminato. Dava fastidio ai Cesarano». Questa rivelazione di Rapicano è stata ritenuta significativa dagli investigatori, anche perché Paolo Carolei era il cugino di Tommaso Covito e – in quel periodo – assieme ad altri esponenti malavitosi del quartiere Moscarella aveva lavorato a un’alleanza con i capi del rione Cmi con l’obiettivo di mettere in piedi un’organizzazione criminale capace di estendere il controllo sugli affari illeciti anche sulle vicine Santa Maria la Carità e Sant’Antonio Abate. Soprattutto, le rivelazioni di Rapicano per la Procura Antimafia hanno rappresentato un riscontro alle dichiarazioni di altri due collaboratori di giustizia come Antonio Esposito, alias Tonino ‘o biondo, e Alfonso Loreto.