L'inchiesta dell'Antimafia
Gragnano. Chi ha aiutato Vincenzo Di Martino a nascondersi per un anno? Come ha fatto a sfuggire per tutto questo tempo alla cattura? Dove si è nascosto? A queste domande sta provando a rispondere l’Antimafia che sta indagando e provando a stringere il cerchio sull’identità dei fiancheggiatori della latitanza di Vincenzo Di Martino, ras dell’omonimo clan e figlio dello storico fondatore Leonardo “o’lione”. La tesi della Dda di Napoli, seguendo anche quella che è stata la storia del fratello Antonio, latitante dal 2018 al 2020 ,è che il ras non si sia mosso da Gragnano e dal comprensorio dei Lattari, nascondendosi tra i monti che in queste settimane vengono perlustrati metro per metro dalle forze dell’ordine nell’ambito dell’operazione “Continuum Bellum 2”. E anche da questi blitz, che continueranno per il resto dell’estate, l’Antimafia spera di ricavare altri indizi utili in questa inchiesta. il 28 giugno scorso, Vincenzo Di Martino, accompagnato dal suo avvocato – il penalista stabiese Antonio de Martino – si presentò alle porte della casa circondariale di Bellizzi Irpino, a pochi chilometri da Avellino. Forse perché si sentiva il fiato sul collo delle forze dell’ordine, ma spontaneamente si è conclusa la sua fuga iniziata l’anno prima. Il 45enne era infatti ricercato da maggio del 2023, quando era scattato un blitz della Guardia di Finanza di Massa Lubrense, coordinata dalla Dda di Napoli (pm Giuseppe Cimmarotta) in cui erano rimaste coinvolte 12 persone. Responsabili, secondo le accuse, di aver messo in piedi tra il 2020 e il 2021 – in pieno lockdown a causa della pandemia di Covid-19 – un giro di droga tra i Lattari e la penisola sorrentina. Per l’Antimafia, personaggi di spicco di Scanzano – tra cui Massimo Terminiello, «braccio destro» di Nino Spagnuolo alias «capastorta» – avevano messo in piedi una «rete» di pusher nei comuni costieri, provvedendo a rifornirli di droga – sia marijuana che cocaina – attraverso il contributo attivo di alcune donne, che avevano il compito di andare a Iuvani a ritirare i carichi da smerciare. A fornirglieli, secondo le accuse, sarebbe stato proprio Vincenzo Di Martino, per conto del clan. All’epoca del blitz Di Martino sfuggì alla cattura, facendo perdere le proprie tracce e dandosi alla macchia. E proprio su questo lasso di tempo su cui sta indagando l’Antimafia. Un’inchiesta non semplice ma estremamente utile per capire i rapporti del clan e la sua attuale influenza nella zona di Gragnano, Pimonte, Lettere,Casola e Sant’Antonio Abate. Solitamente per farsi aiutare i latitanti si servono dell’aiuto di insospettabili e con la fedina penale pulita. Ne è un esempio la latitanza del fratello di Vincenzo, Antonio Di Martino che nel 2018 sfuggì al blitz scaturito dall’inchiesta Olimpo, per poi essere catturato nel 2020. I due principali fiancheggiatori hanno incassato a inizio giugno una condanna in primo grado per favoreggiamento. Entrambi erano incensurati, ma, secondo l’Antimafia, avrebbero aiutato il ras nei rapporti con l’esterno, controllando anche gli accessi al monte Megano, altura che apre alla frazione di Iuvani, roccaforte del clan, un territorio impervio e per certi versi inaccessibile. Nel corso di quell’inchiesta la Dda ricostruì una fitta rete fatta di paura e di omertà.