Abbiamo creduto in una pace scontata e infinita, che tutto ruotasse intorno alla convivenza economica degli scambi e delle produzioni, la realtà che drammaticamente stiamo vivendo ci riporta alla vera priorità, ovvero la sicurezza, che è strategica per il nostro Mediterraneo. La regione mediterranea costituisce il fianco sud dell’Alleanza atlantica e dell’Unione Europea, e il Mediterraneo è posto al centro degli orientamenti strategici delle due organizzazioni internazionali, Nato e Ue.
L’Italia importa la quasi totalità del fabbisogno dei combustibili fossili. Questa situazione, pur in previsione di una progressiva transizione verso fonti rinnovabili, determina la necessità di una riflessione in merito alla sicurezza e alla stabilità dei Paesi fornitori, delle aree di transito, dei gasdotti, nonché delle vie di comunicazione, soprattutto marittime. Il petrolio, così come il gas, arriva quasi interamente con petroliere e cassiere del Golfo dal Golfo Persico, dei due versanti oceanici africani, dal Mediterraneo orientale, attraverso i passaggi nevralgici che sono epicentro di insicurezza e conflitti.
L’intreccio dell’Europa con il destino dei Paesi mediterranei, arabi e africani è indispensabile. Le interdipendenze legate alla lotta al terrorismo, al governo delle migrazioni, al superamento delle crisi politiche e militari, economiche ed umanitarie, tracciano la strada della convivenza come unico percorso possibile. Il destino dell’Unione Europea passa per la rigenerazione delle sue finalità e delle sue politiche. È ora di finirla di parlare di riformismo astratto e mai di riforme.
Nel vuoto politico di una sinistra in crisi d’identità, nella debolezza strategica di un centro artificioso, nella velleitaria ambizione egemonica dei conservatori al governo, la migliore risposta e l’alternativa che i riformatori devono esprimere con la propria cultura di governo. Le elezioni europee del 2024 determineranno alleanze e schieramenti che governeranno la nuova Europa.
Le guerre in corso in Ucraina e Medioriente hanno fatto emergere tutte le debolezze europee. L’Europa, per differenziale negativo di crescita e per minore tasso di innovazione tecnologica della sua economia industriale rispetto alle altre grandi aree economiche del mondo, si trova in terza posizione, dietro Usa e Cina, ma in pochi anni rischia di essere superata dall’India. In termini geostrategici, l’Europa deve fare i conti con il neo imperialismo russo ad est, con la Turchia e l’Iran a sud. E nonostante una spesa militare di oltre 350 miliardi di euro l’anno, continua a fare affidamento sull’ombrello protettivo Usa. Inoltre, la nostra Europa, economicamente ricca e con un sistema di valori istituzioni democratici, attira grandi flussi migratori.
E una delle grandi direttrici dello sviluppo mondiale nei prossimi vent’anni sarà proprio in Africa. L’Occidente non può lasciare il continente africano alla Cina e alla Russia. Il ruolo che il Mezzogiorno e un’Europa proiettata verso il sud con l’internazionalizzazione dell’economia e la capacità culturale di empatia e di dialogo con i Paesi della sponda africana, costituiscono un formidabile patrimonio per l’Occidente. L’Italia deve diventare il traduttore dei valori civili, democratici, istituzionali dell’Occidente per quei Paesi che sono alla ricerca del benessere e di una via verso il progresso democratico.
L’Italia può giocare una partita fondamentale, ma dobbiamo passare dalla dalle parole ai fatti. Dal 2015 alla fine del 2022 sono rimaste ferme quasi tutte le opere che avevano avuto l’approvazione definitiva, una lunga stasi da addebitare ai governi che hanno preferito utilizzare risorse per il reddito di cittadinanza e per quota 100. In più, la Questione Meridionale ha ancora i tratti della grave attualità con fenomeni allarmanti connessi all’aggravarsi del divario tra nord e sud.
La prospettiva di sviluppo del Mezzogiorno è collegata alla necessità di situazioni infrastrutturali, alla capacità della politica di definire i programmi idonei e realistici. Tutte le regioni meridionali sono sull’agenda dell’Unione Europea ma qui il Pil pro-capite non supera la soglia dei 22.000 euro e in alcuni casi si attesta sui 17.000. I livelli assistenzali delle prestazioni (Lep) sono indifendibili per l’offerta di servizi socio-assistenziali. Si va dai 22 euro pro-capite in Calabria, ai 540 di Bolzano. La spesa sociale al sud è di 58 euro pro capite, la media nazionale è di 124. Inoltre, la distanza del Mezzogiorno dai mercati del Nord Italia e del centro Europa è un vincolo alla crescita per tutte e otto le regioni.
L’Europa non è solo metodo e procedura, non è solo mercato e spread, è identità, autonomia e unità. Il documento di indirizzo delle politiche di coesione 2021-2027 prevede cinque grandi obiettivi: Europa più intelligente, Europa più verde, Europa più connessa, Europa più sociale, Europa più vicina ai cittadini. Ma va aggiunto un sesto: Europa mediterranea. E allora, l’Italia non deve fare due politiche, una per il Nord, che compete con l’Europa del Reno, e una per il sud, come appendice distante e sottostante. L’autonomia differenziata la divide e la porta fuori dall’Europa, rafforza il regionalismo del nord e danneggia il sud scaricando le conseguenze sui cittadini. Se confermata, comporterebbe la spaccatura orizzontale dell’Italia. Ma la sola idea di autonomia differenziata è un seme piantato per dimostrare che l’Italia unitaria è ingovernabile.
Serve a poco alimentare la polemica per l’iniziativa del governatore Vincenzo De Luca, che per la prima volta nel nostro Paese ha portato in piazza le istituzioni contro il governo in carica. Si può concordare o dissentire con la sua iniziativa, ma una cosa è certa: la situazione richiede che le forze vive della nostra democrazia escano dal recinto del dissenso e della denuncia ed entrino in campo, con una chiara e forte iniziativa politica volta a impedire che si compia uno scempio del nostro sistema democratico con le riforme annunciate (Presidenza del consiglio ed autonomia differenziata per le regioni).
Per non rimanere nel vago e lasciare ad altri il compito di indicare una prospettiva di opposizione al disegno del governo, dobbiamo cogliere l’occasione promossa dal progetto di Claudio Signorile. Serve far leva sull’articolo 75 della Carta Costituzionale che stabilisce che 500mila cittadini o 5 consigli regionali possono proporre l’abrogazione totale o parziale di una legge o di un atto avente valore di legge. Sarebbe questa la strada maestra per capire se la discesa in campo di Mezzogiorno Federato sia solo una stimolante idea di pochi o una veria e propria primavera promossa dalle stesse istituzioni.
Il patto federativo costringerebbe il governo a misurarsi con un Mezzogiorno consapevole delle sue potenzialità e soprattutto polo riformatore. L’obiettivo non è più integrare il sud nel nostro Paese, ma ripensare l’unità nazionale nel segno di una nuova Europa, per rilanciare il progetto di un patrimonio di un partenariati euromediterraneo, in collaborazione con i Paesi della sponda del sud del del Mare Nostrum. L’obiettivo è portare l’Italia unita in Europa e l’Europa nel Mediterraneo.