Casola/Gragnano. Alle forze dell’ordine aveva denunciato maltrattamenti e litigi nell’ambito familiare che andavano avanti da tempo. Un rapporto con il marito che si era via via deteriorato nel te...
Casola/Gragnano. Alle forze dell’ordine aveva denunciato maltrattamenti e litigi nell’ambito familiare che andavano avanti da tempo. Un rapporto con il marito che si era via via deteriorato nel tempo, fino a sfociare – a suo dire – in un vero e proprio incubo di rancori, liti e violenze. Insomma un classico caso da «codice rosso», introdotto proprio per tutelare maggiormente le vittime della violenza domestica e punire con pene più severe i responsabili. Quasi sempre, cioè, i mariti o i compagni. Ma in questo caso, l’uomo contro il quale la donna aveva puntato il dito – e con il quale era stata sposata per quindici anni, avendo insieme a lui tre figli – era assolutamente innocente. Tale lo hanno ritenuto, assolvendolo «perchè l fatto non sussiste», i giudici del tribunale di Torre Annunziata in composizione collegiale – presidente Antonello Anzalone – e concludendo quello che per il malcapitato era diventato un vero e proprio calvario. Un’odissea iniziata a dicembre del 2020, quando la sua compagna – una 39enne di Gragnano – si era recata dai carabinieri per denunciare quelle che aveva definito «violenze abituali» alle quali il marito la sottoponeva, sin dai primi anni successivi al matrimonio. Insulti, calci, pugni, oggetti trovati in casa e tirati addosso, compresa, nell’ultimo episodio denunciato, una sedia. Violenze che – nel racconto della donna – non si erano interrotte nemmeno quando si erano separati in via consensuale, dal momento che lei era rimasta ad abitare nella casa coniugale, e l’uomo era tornato in quella dei genitori, situata però nella stessa palazzina. Ai carabinieri la donna aveva raccontato, nel dicembre del 2020, di aver presentato una prima denuncia 5-6 anni prima, ma di averla poi ritirata per salvaguardare l’integrità della famiglia, e soprattutto la serenità dei tre figli, nella speranza che il marito cambiasse atteggiamento nei suoi confronti. Cosa che però – aveva raccontato – non era avvenuta. Anzi i litigi erano continuati e si erano fatti sempre più violenti: insulti e botte erano continui, nelle occasioni in cui l’uomo tornava nella stessa casa per far visita ai figli. La donna aveva consegnato agli inquirenti anche delle foto in cui aveva il volto tumefatto o lividi su altre parti del corpo. Elementi sufficienti a far finire sotto inchiesta l’uomo, oggi 40enne, che a giugno 2021 era stato rinviato a giudizio. L’uomo, difeso dall’avvocato Giovanni Verdoliva, aveva sempre respinto al mittente tutte le accuse che la moglie gli aveva lanciato contro, e nel corso del procedimento sono state ascoltate diverse persone che hanno contribuito a chiarire la vicenda. E alla fine i racconti della donna non sono stati ritenuti sufficientemente attendibili, così come le «prove» delle percosse, a questo punto da ritenere del tutto ipotetiche. I giudici, come detto, hanno assolto l’ex marito. «Il codice rosso e le tutele che garantisce – sottolinea l’avvocato Verdoliva – sono troppo importanti per essere utilizzati come pretesti, o peggio ancora come strumenti di «rivalsa», per concludere vicende familiari o affettive a proprio vantaggio. Magari in momenti di rabbia o di delusione, senza tener conto degli innumerevoli e incalcolabili danni che si creano alle altre persone. Compresi i minori che finiscono al centro di vicende del genere».