Indagato per droga Giovanni Cafiero
Giovanni Cafiero, genero del boss ergastolano Gaetano Cesarano, ha rappresentato il collegamento tra gli uomini in libertà della cosca di Ponte Persica e i padrini fondatori del clan. Era a lui che si rivolgeva Luigi Belviso per ottenere la “benedizione” dei boss detenuti a scalzare Vincenzo Cesarano, alias ‘o mussone, dal ponte di comando della cosca. E sempre a lui si rivolgevano anche alcuni imprenditori di Castellammare e Pompei, vicini al clan, quando dovevano recuperare crediti. Ne è convinta la quinta sezione penale della Corte di Cassazione che ha respinto il ricorso presentato dai legali di Cafiero, che chiedevano la scarcerazione del 44enne ras di Ponte Persica, arrestato lo scorso luglio nell’ambito dell’inchiesta Vichinghi bis, che ha permesso di incastrare boss e gregari del clan Cesarano. L’Antimafia ha contestato reati che vanno dall’associazione per delinquere, alle estorsioni, passando per il riciclaggio e i traffici di droga e armi. Ma per Cafiero, nei giorni scorsi, è arrivata una nuova accusa. Nell’ambito delle indagini sul delitto di Angelo Vassallo, il sindaco-pescatore di Pollica, ucciso il 5 dicembre 2010 nel Cilento – come raccontato da Repubblica – Cafiero risulta indagato per concorso in traffico di sostanze stupefacenti. L’inchiesta è ancora in corso e vede implicati anche esponenti delle forze dell’ordine, come il colonnello dei carabinieri Fabio Cagnazzo, e il brigadiere Lazzaro Cioffi, ma si fa sempre più largo l’ipotesi che Angelo Vassallo sia stato ammazzato proprio perché impegnato a contrastare i traffici di droga in Cilento. Le indagini sono in corso e forniranno un quadro più chiaro anche sul genero del boss Gaetano Cesarano, che la Dda di Napoli ha inquadrato come un personaggio piuttosto misterioso all’interno della cosca di Ponte Persica. Giovanni Cafiero – secondo quanto emerge dall’inchiesta Vichinghi bis – è una figura che interviene solo in momenti importanti della vita del clan Cesarano, perché in realtà il ruolo che gli è stato cucito addosso è un altro. Secondo le forze dell’ordine lui ha rappresentato l’anello di congiunzione tra i padrini ergastolani reclusi al 41-bis e chi era all’esterno. Toccava a lui riportare le “imbasciate” dei fondatori della cosca. E anche per svolgere questo ruolo cercava di fare particolare attenzione, tant’è vero che nessuno degli affiliati storici potevano andare da lui direttamente, ma dovevano passare attraverso il filtro di due imprenditori, Bartolomeo e Carlo Alberto Langellotto. Basta pensare che anche lo stesso boss Vincenzo Cesarano, alias ‘o mussone, per sapere se c’era qualche messaggio per lui da parte dei cugini ergastolani si rivolgeva ai Langellotto, chiedendogli di mettersi in contatto con Cafiero. Un personaggio, dunque, che si esponeva in prima persona solo quando in ballo c’erano molti soldi, come nel caso dei recupero crediti per conto degli imprenditori assoggettati alla cosca, come scoperto spulciando tra i messaggi del suo cellulare sequestrato dagli investigatori. Il processo Vichinghi bis, che vede alla sbarra 13 persone e per il quale il Comune si è costituito parte civile, è appena cominciato, e nel frattempo Cafiero resta in carcere. @riproduzione riservata