Il colpo che avrebbe ucciso il pescivendolo Antonio Morione sarebbe stato esploso dalla sua pistola e Giuseppe Vangone lo sa bene, ecco perché, in questi ultimi due anni, ha cercato di distaccarsi da...
Il colpo che avrebbe ucciso il pescivendolo Antonio Morione sarebbe stato esploso dalla sua pistola e Giuseppe Vangone lo sa bene, ecco perché, in questi ultimi due anni, ha cercato di distaccarsi dal resto del commando e provare a studiare come uscire fuori dalla vicenda ed evitare che anche il suo nome finisse nel mirino degli investigatori. Ma non è stato così. Anzi. Proprio il vano tentativo di costruire una rete per difendersi è servita da supporto agli inquirenti per incastrarlo. È quanto spunta fuori dal provvedimento di fermo dove la posizione di Vangone è ormai cristallina. Giovedì scorso è scattato l’arresto, il killer si trovava in via Rio a Boscotrecase quando è stato braccato dai militari dell’Arma. Per la magistratura non ci sono dubbi: Vangone la sera del 23 dicembre del 2021 ha fatto irruzione nella pescheria e ha ucciso il pescivendolo che provò a difendere la sua famiglia e il suo negozio incassando la morte. Vangone lo sa e la preoccupazione è quella di essere condannato all’ergastolo. Lo confida ai suoi familiari in una delle intercettazioni ambientali «Perché devo andare a morire io, il problema è quello». Una frase che smonta il nipote del boss spregiudicato dal grilletto facile. I suoi familiari lo rassicurano e tra questi spunta l’esempio di un altro delitto quello dell’omicidio dei fratelli Scognamiglio. «Gallo Andrea benché abbia commesso un duplice omicidio uccidendo i Scognamiglio, non è stato condannato all’ergastolo». Poi i consigli: «La strategia sul processo la troviamo sempre». E ancora i familiari dispensano altri suggerimenti su come fare per alleggerire la sua posizione negando di aver esploso li colpo mortale all’indirizzo di Morione Antonio: «Tu per il momento devi dire che non hai sparato. Mica non la vedi più la libertà, non è vero, puoi anche dire che quella sera ti eri drogato e non mi ricordo niente più. Ci sono cose tante da fare». Giuseppe Vangone, recependo i suggerimenti familiari, ribatte che avrebbe dichiarato che lui non era presente in pescheria e c’è chi gli consiglia di iscriversi al Sert in modo da far risultare che egli era tossicodipendente al momento del fato e provare a certificare l’iscrizione al Sert in data antecedente a quella dell’omicidio. Poi spunta il consiglio di battere la strada «della infermità mentale» e suggerisce di sottoporre Giuseppe Vangone a perizia psichiatrica. Vangone però scaglia tutta la sua rabbia contro il complice Luigi di Napoli: «Ha fatto un macello», dice facendo riferimento a tutte le conversazioni e intercettazioni dove, secondo Vangone, parlerebbe dell’omicidio fornendo ai carabinieri ulteriori prove per incastrare il commando che entrò in azione la sera dell’anti-vigilia di Natale in una pescheria nel centro di Boscoreale.