Ricercatore in Botanica Sistematica presso il DiSTABiF (Dipartimento di Scienze e Tecnologie Ambientali, Biologiche e Farmaceutiche) dell’Università Luigi Vanvitelli, profondamente devoto alla sua ...
Ricercatore in Botanica Sistematica presso il DiSTABiF (Dipartimento di Scienze e Tecnologie Ambientali, Biologiche e Farmaceutiche) dell’Università Luigi Vanvitelli, profondamente devoto alla sua terra e alla sua squadra. Adriano Stinca, stabiese all’apice della sua carriera, ha scovato una nuova specie ignota al panorama scientifico internazionale: l’Anthyllis dalmatica. Una specie endemica della Croazia rarissima e catalogata tra quelle a rischio di estinzione, il cui nome è dedicato proprio alla storica regione della Dalmazia. Una passione quella del dottor Stinca, che è cresciuta con lui sin da bambino. «L’ambiente familiare è stato determinante. La passione per la scienza mi è stata trasmessa da mio padre, anch’egli laureato in Scienze Agrarie, per me punto di riferimento imprescindibile. In casa i libri delle materie scientifiche non sono mai mancati, quindi è stato relativamente semplice appassionarmi alla Botanica e all’Agronomia». Punto cardine nella scelta degli studi e della carriera futura è stata anche la sua città natale. «Ho avuto la fortuna di vivere nella zona alta di Castellammare di Stabia, a Privati, circondato da giardini e boschi. Un ruolo decisivo nella crescita del mio interesse per la botanica lo ha svolto anche la mia città e più in generale la sua collocazione geografica a cavallo tra la Piana del Sarno, i Monti Lattari e la Penisola Sorrentina. In pochi, infatti, sanno che i Monti Lattari ospitano quasi mille specie vegetali, circa un decimo di quelle presenti in Italia. Alcune di queste sono addirittura esclusive del nostro territorio come il Caprifoglio di Stabia, che richiama nel suo nome proprio Castellammare. Amo profondamente la mia città, è stimolante e ricca di storia, cultura e natura». Nell’ambito della sua primissima scoperta, Stinca si espone in merito all’idea secondo cui le scoperte scientifiche avvengano per caso. «Sulla base della mia esperienza direi che questa affermazione è totalmente falsa. I risultati delle ricerche scientifiche, infatti, il più delle volte si ottengono per la passione che i ricercatori mettono nel proprio lavoro, aspetto questo tutt’altro che casuale. Allo stesso modo, la descrizione di una nuova specie per la scienza richiede conoscenze specialistiche da parte dei botanici ed è il risultato di approfondite indagini che spesso richiedono anni e anni di lavoro. Naturalmente la fortuna un po’ conta, in quanto bisogna trovarsi nel “posto giusto” al “momento giusto». Ad aiutarlo in questo percorso la collaborazione del suo collega e amico Fabio Conti, noto botanico all’Università di Camerino, con il quale ha condotto l’esplorazione che li ha portati agli inaspettati e sorprendenti risultati. «Il “posto giusto” nel nostro caso è stato il Monte Mosor, un massiccio calcareo ubicato nell’entroterra di Spalato. Che si trattasse del “momento giusto” lo abbiamo capito il 16 giugno, quando nel corso di una ricognizione sulla fascia montana e più selvaggia del massiccio, ci siamo imbattuti in una piccola popolazione composta da piante che ci sono sembrate non ascrivibili a nessuna delle specie note. Direttamente sul posto abbiamo eseguito la documentazione fotografica, valutato il colore dei fiori e rilevato alcune caratteristiche ambientali del sito. Dopo aver stimato la consistenza della popolazione scoperta, abbiamo prelevato alcuni campioni, li abbiamo essiccati e conservati presso l’Herbarium Austroitalicum e l’Herbarium Apenninicum. Su questi stessi campioni abbiamo eseguito misure morfometriche relative a 62 caratteri». Le indagini hanno permesso ai due di proporre come nuova per la scienza la popolazione del Monte Mosor. Come da prassi nella ricerca scientifica, il loro manoscritto è stato sottoposto a Systematic Botany, prestigiosa rivista scientifica della American Society of Pland Taxonomists, la quale ha poi revisionato e pubblicato lo studio. Seppur orgoglioso dei traguardi professionali raggiunti e speranzoso per il futuro, lo scienziato lancia un appello a nome suo e dei colleghi. «L’Italia dedica poco più dell’1 per cento del proprio PIL alla ricerca scientifica, circa la metà della media europea. Nonostante questo dato deprimente, la comunità scientifica italiana resiste e occupa i primi posti a livello mondiale in termini di produzione scientifica – conclude lo scienziato stabiese – La scarsità di fondi, tuttavia, si ripercuote sulle nuove assunzioni e, in questo contesto, sono soprattutto i giovani ricercatori ad essere maggiormente penalizzati. C’è bisogno di un cambio di rotta». @riproduzione riservata