A Vico Equense apre la stagione del cinema Aequa con “Play House” «Lo studio e l’applicazione sono anche più importanti del talento»
Ci immergiamo nell’affascinante mondo dello spettacolo, dove le luci del palcoscenico si intrecciano con le storie di successo.
In un’intervista esclusiva, esploreremo il percorso del giovane attore italiano dai primi passi nel mondo della recitazione, fino alle vette del grande successo raggiunto.
Francesco Montanari, artista che ha conquistato il cuore del pubblico con la sua straordinaria abilità e la sua presenza magnetica sullo schermo, apre la stagione teatrale con lo spettacolo “Play House” di Martin Crimp, autore contemporaneo, al cinema Aequa di Vico Equense.
Un testo del 1968 magistralmente scritto in inglese e tradotto successivamente in italiano, composto da 13 scene di una storia d’amore che nasce e muore. Tutto prende forma dall’idea di Rodolfo Di Gianmarco, uno dei più grandi critici italiani del teatro, «Il progetto prevedeva che io fossi il regista di questo spettacolo, allo stesso tempo però mi accorsi che il tempo a mia disposizione per trovare l’attore giusto era poco. Così una notte mentre ero sul set di un film a Milano, ebbi un’illuminazione: decisi di interpretare io stesso il protagonista dello spettacolo. Per rendere al meglio l’idea che avevo in mente, ho scelto di optare per una scenografia molto minimalista: in scena c’è soltanto un enorme lavagna, protagonista di ognuno dei quadri. Il mio lavoro è stato quello di cercare il più possibile di capire a fondo il punto di vista di entrambi i partner, senza mai scimmiottare la donna, ma comunicando in maniera onesta e ferma il sul pensiero» racconta Montanari.
La passione per la recitazione e la direzione attoriale, hanno portato il grande attore ad insegnare questa meravigliosa disciplina, cercando di trasmettere il suo amore nei confronti di quest’arte, «trovo che sia una grandissima opportunità per imparare come attore e crescere, questa è una materia che parla di umanità, e quindi bisogna capire che quando si parla di esseri umani non tutto funziona per algoritmi o per assolutismi».
La sua carriera inizia da giovanissimo, una semplice recita a scuola è stata in grado di fargli capire che era proprio quello il mestiere adatto a lui.
Ancora non lo sapeva, ma quello sarebbe stato il trampolino di lancio che lo avrebbe portato a raggiungere grandissimi traguardi, tra cui il premio Nastri d’argento nell’edizione 2015 come migliore attore per il cortometraggio “Mala vita” o anche il premio per la migliore interpretazione maschile per il “Cacciatore” per l’edizione del 2018 dei premi Flaiano. Per non parlare dei suoi innumerevoli spettacoli teatrali e la sua vastissima filmografia, con il debutto in “Romanzo Criminale” nel ruolo del libanese fino ad arrivare al suo ultimo film “Runner”, uscito lo scorso ottobre. Che sia televisione o palcoscenico le cose non cambiano, per Francesco Montanari, non è importante quale mezzo si utilizzi per comunicare ma lo sono invece le emozioni che si riescono a suscitare nel cuore degli spettatori. Il suo scopo principale è mostrarsi non solo come professionista, ma anche come essere umano, portando sul palco un po’ del suo vissuto, del suo dolore e delle sue gioie, «credo che gli essere umani siano sempre un punto di vista sul mondo, e allo stesso modo anche i personaggi lo sono.
L’unica differenza sta nel fatto che le loro vite vengono messe nero su bianco da una mente o più menti creative che agiscono e scrivono insieme. Ognuno di noi reagisce e agisce rispetto agli input che arrivano dal mondo esterno, e rispetto a tutto il percorso umano che ci porta a fare una determinata azione in un preciso momento, creando così un punto di vista consapevole ma anche molto inconsapevole. Inevitabilmente, il personaggio agisce allo stesso modo della persona che lo interpreta anche se non esiste nella realtà. È l’attore a dare vita a ciò che interpreta, immergendosi nella scrittura del copione e facendo infinite prove per arrivare al punto di pensare e agire come lui».
Il lavoro giusto da fare, secondo il suo pensiero, è quello di cercare di condividere attraverso la sua carne la storia di qualcuno di tangibile, che si può vedere e che possa attraverso la sua esperienza sul palco fare da specchio per il pubblico. Il lavoro dell’attore è utile se fa vedere a chi sta in platea come sia fatta l’umanità.
«Mi sento di dire a chi sta muovendo i primi passi verso la formazione attoriale, che il talento è solo forza di volontà. È più importante lo studio, il lavoro ed il sacrificio che c’è dietro, soprattutto in un’epoca dove forse si regala l’illusione che questo non sia un lavoro che necessita di un allenamento quotidiano, ma che sia quasi materia ineffabile. Naturalmente è anche vero che esistono delle predisposizioni naturali rispetto a determinate discipline, ma non è niente di così grande che non possa essere eguagliato con la perseveranza e la caparbietà. Lo studio ti permette anche di capire se ciò che stai facendo è quello che ti rende davvero felice» conclude l’artista.