Il Comune ha pagato 50mila euro
Una relazione di 88 pagine che è la sintesi dei provvedimenti e degli studi che hanno riguardato il patrimonio sorgentizio di Castellammare di Stabia nel corso dell’ultimo secolo e le leggi attualmente in vigore per la tutela delle acque minerali. E un plico di 40 fotocopie dello studio condotto nel 2010 dal professore Giovanni Talarico. E’ questo il risultato della convenzione sottoscritta dal Comune di Castellammare con il Ciram (Centro Interdipartimentale di Ricerca Ambiente dell’Università Federico II di Napoli), nel 2020. Chi si aspetta una classificazione aggiornata delle sorgenti, uno studio approfondito sulle caratteristiche delle acque minerali o banalmente volesse sapere quante sono le fonti che oggi sgorgano a Castellammare resterà deluso. Quando e se il Comune, commissariato da febbraio 2022, deciderà di rendere pubblico un lavoro consegnato il 30 marzo 2023 dal Ciram e finora rimasto nei cassetti. Una relazione che, va ricordato, è costata 50mila euro ai cittadini stabiesi. Il lavoro triennale dei ricercatori ha prodotto una catalogazione di quasi tutti gli atti amministrativi che si sono susseguiti nel tempo, ma resta forte la perplessità sul valore del contributo offerto a un tema che è cruciale per il futuro di Castellammare. Soprattutto alla luce di una ventilata, finora solo a parole, possibilità di rilanciare il termalismo, attraverso l’investimento dei 12 milioni di euro di fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ottenuti per le Antiche Terme. Restano poi i dubbi sulla valenza della stessa convenzione sottoscritta con il Ciram. Un accordo che nel 2020 fu presentato dalla passata amministrazione come un lavoro, prezioso, da svolgere in tre fasi. La prima avrebbe dovuto riguardare l’analisi dello stato di fatto delle sorgenti minerali e termali e del relativo contesto ambientale, oltre che la formazione di un gruppo di dipendenti comunali rispetto alle corrette prassi da attuare per preservare le sorgenti. La seconda, invece, si legge testualmente «punta all’ottimizzazione dell’uso della risorsa minerale e termale, nonché la messa a punto di strategie innovative per la fruizione delle aree verdi circostanti il parco termale». La terza: organizzazione di dibattiti e seminari per esporre i risultati prodotti dalla ricerca sulle acque di Castellammare di Stabia. Inoltre, il Ciram avrebbe dovuto impiegare personale tecnico, un ricercatore, stagisti e tirocinanti con competenze in geologia e idrogeologia, scienze agrarie e forestali. Tra le mani del Comune, invece, c’è una relazione di 88 pagine, che nelle 5 pagine di conclusioni oltre a ricordare la sfida della transizione ecologica che deve affrontare il pianeta e la necessità di uno sviluppo sostenibile citando la pandemia da Covid-19, invita l’amministrazione a procedere «alla progettazione di apposite indagini, anche con ricorso alle tecnologie più innovative, per il rilievo plano-altimetrico delle aree sorgive e per la ricostruzione dell’attuale assetto delle opere di captazione e dei relativi sistemi impiantistici». Insomma, consiglia uno studio sulle acque. Oltre che riprendere uno spaccato della relazione del professore Gustavo Gasperini del 21 agosto 1921 che condusse uno studio sulle sorgenti sottolineando: «Se si vogliono mettere in valore le acque minerali situate lungo la strada Benedetto Brin, occorre rimediare allo stato di fatto creato dalla mancata visione dell’avvenire di queste acque e fin dove è possibile, rendere l’unghia del monte, sovrastante alle polle, libera dalle abitazioni e dalle culture orticole». @riproduzione riservata