Catello Romano, killer mai pentito del clan D’Alessandro, sa di essere indagato dalla Procura Antimafia per il duplice omicidio di Carmine D’Antuono e di Federico Donnarumma dal 2016. Ovvero da qu...
Catello Romano, killer mai pentito del clan D’Alessandro, sa di essere indagato dalla Procura Antimafia per il duplice omicidio di Carmine D’Antuono e di Federico Donnarumma dal 2016. Ovvero da quando il giudice per le indagini preliminari respinse la richiesta di archiviazione avanzata dalla Dda, disponendo una proroga. La novità, in quel momento, era rappresentata dal pentimento di Renato Cavaliere, uno dei killer della cosca di Scanzano, che raccontò ai magistrati – come già in precedenza aveva fatto l’altro pentito Salvatore Belviso – i dettagli del duplice omicidio D’Antuono-Donnarumma, che fu commesso in via Castellammare, a Gragnano, il 28 ottobre 2008. La decisione di Catello Romano di confessare i delitti nella tesi dal titolo “Fascinazioni Criminali”, con la quale si è laureato con 110 e lode in Sociologia nel carcere di Catanzaro, dal punto di vista investigativo non ha rappresentato una sorpresa. E solo il tempo potrà dire se sia frutto di un percorso di riabilitazione arrivato a pieno compimento oppure di un tentativo anche abbastanza goffo – al netto dell’apprezzabile scelta di trascorrere il tempo in carcere, mettendosi a studiare – di implorare clemenza ai giudici che potrebbero ritrovarsi a giudicarlo (come lui stesso auspica nella tesi) anche su questo omicidio. Dopo la condanna a 30 anni di reclusione già incassata per il delitto del consigliere comunale del Partito Democratico, Gino Tommasino, il 3 febbraio del 2009. L’inchiesta sul delitto di Carmine D’Antuono, alias ‘o lione, e di Federico Donnarumma (l’uomo che non aveva nulla a che vedere con la criminalità organizzata, ma quel giorno ebbe la sfortuna di trovarsi accanto a D’Antuono), è andata avanti spedita. Nel registro degli indagati, oltre a Romano, figurano anche i nomi del boss Vincenzo D’Alessandro e l’ex killer, poi pentito, Salvatore Belviso. Il collaboratore di giustizia Renato Cavaliere aveva raccontato ai magistrati dell’Antimafia: «Dopo l’omicidio di D’Antuono Carmine, Vincenzo D’Alessandro volle parlare con Catello Romano. Quando lo vide gli disse che non era più soltanto il mio compariello, ma un suo fratello e lo abbracciò. Per festeggiare brindammo con lo champagne». Una possibile ricostruzione rispetto alle modalità in cui andò in scena quel delitto fu offerta, poche ore dopo il suo arresto nel 2009, proprio dallo stesso Romano. Il suo fu un pentimento lampo, perché si diede alla fuga dalla località protetta dove era stato portato, ritrattando poi le dichiarazioni fatte agli investigatori, rendendole di fatto inutilizzabili ai fini processuali. In quei pochi verbali, poi diventati carta straccia, Romano diceva: «Sono stato io ad eseguire l’omicidio di D’Antuono raggiungendo il luogo dell’agguato con un motorino Sh di colore rosso. Ad incaricarmi della commissione di questo omicidio è stato D’Alessandro Vincenzo. Per quello che mi è stato detto l’omicidio di D’Antuono è stato deciso per l’appartenenza del D’Antuono al clan Imparato». E ancora: «Belviso Salvatore mi ha accompagnato sul posto con un altro scooter di colore scuro. Io ho visto D’Antuono che stava parlando con Donnarumma vicino alle loro autovetture. Io mi sono fermato ad una decina di metri dal mio obiettivo, ho messo lo scooter sul cavalletto e mi sono avvicinato. Ho sparato prima a D’Antuono. Donnarumma si è voltato guardandomi in faccia ed io ho sparato anche a lui. Ho utilizzato una pistola calibro 9. Dopo l’esecuzione dell’omicidio io mi sono allontanato. Belviso si è allontanato in un’altra direzione. Gli appostamenti finalizzati all’esecuzione dell’omicidio di D’Antuono sono durati una quindicina di giorni. È stato Belviso Salvatore a farmi vedere l’autovettura utilizzata da D’Antuono e a descrivermi precisamente le fattezze fisiche dell’obiettivo». Nella tesi di laurea, in parte autobiografica, Romano è tornato su quel delitto a distanza di 12 anni sottolineando che Donnarumma non doveva essere ucciso e che lui sparò senza nemmeno sapere il motivo. Nella sua tesi il killer di almeno quattro persone, che prima s’è convertito al buddismo e poi alla fede islamica, sembra solo il lontano parente di quel giovane spietato e cinico raccontato dalle ordinanze di custodia cautelare di una decina di anni fa. A quel tempo, Romano era ritenuto dagli investigatori forse il personaggio più scaltro del commando di fuoco dei D’Alessandro composto da Renato Cavaliere, Salvatore Belviso e Raffaele Polito. Lui è stato l’unico a non pentirsi. @riproduzione riservata