Castellammare. «Il clan D’Alessandro è radicato da anni sul territorio e attraverso la sua forza intimidatoria riesce a imporre estorsioni, anche per svariate migliaia di euro, agli imprenditori. Talvolta senza nemmeno il bisogno di ricorrere a minacce». Entra così nel vivo il processo a carico di 15 persone accusate a vario titolo di aver imposto il pizzo e riciclato parte dei soldi in ditte di costruzioni, intestate a prestanome. Le indagini delle forze dell’ordine hanno permesso di ricostruire estorsioni fino a 200mila euro, minacce e ritorsioni nei confronti degli imprenditori che tentavano di sfuggire al pagamento del pizzo. Un clima di terrore imposto per oltre un decennio da due clan, i D’Alessandro e i Cesarano, che si spartiscono il controllo criminale del territorio. Alcuni imprenditori vittime del pizzo hanno deciso di costituirsi parte civile nel procedimento che è uno stralcio della maxi-inchiesta Olimpo, che nell’area stabiese ha dato il là a diverse indagini poi scaturite in arresti e processi. Alla sbarra in questo caso c’è tutto il gotha del clan D’Alessandro. A cominciare da Teresa Martone, la vedova del padrino fondatore della cosca di Scanzano, che è ritenuta una degli elementi chiave di questa inchiesta. L’Antimafia le contesta di aver imposto il pizzo a un’azienda stabiese. Alla sbarra con lei ci sono anche i figli Pasquale e Vincenzo D’Alessandro, entrambi liberi dopo aver scontato pesanti condanne e ritenuti dall’Antimafia ancora ai vertici della cosca di Scanzano. Tra le figure apicali del clan che da decenni detta la sua legge criminale a Castellammare ci sono anche Sergio Mosca – suocero di Pasquale D’Alessandro – e Paolo Carolei, l’uomo che secondo le ricostruzioni investigative avrebbe favorito il patto tra Scanzano e il clan Di Martino di Gragnano, una quindicina di anni fa. Anche Mosca e Carolei sono alla sbarra, il primo da detenuto, il secondo a piede libero. Assieme a loro sono a processo anche Giovanni Schettino, Vincenzo Di Vuolo, Luciano Verdoliva, Michele Carolei e Gaetano Vitale, considerati dalla Dda esattori del pizzo per conto del clan di Scanzano. Alla sbarra anche l’imprenditore Liberato Paturzo, ritenuto il costruttore di fiducia del clan D’Alessandro, e i suoi presunti prestanome Liberato Esposito e Carmela Ruocco. A processo pure Aldo Vispini e Luca Salvatore Carrano, per la Dda esattori al servizio del clan Cesarano. Ventiquattro i capi di imputazione contestati dagli inquirenti, quasi tutti legati a episodi estorsivi commessi tra il 2006 e il 2017, alcuni con cifre da capogiro da oltre 200mila euro. Nell’affare del racket sarebbe coinvolto anche un minorenne, accusato di aver partecipato ad una richiesta di pizzo da 5.000 euro a carico di uno degli imprenditori vittime dei D’Alessandro. Il processo è appena alle battute iniziali e toccherà al collegio difensivo composto dagli avvocati Gennaro Somma, Giuliano Sorrentino, Renato D’Antuono, Mariano Morelli, Alfonso Piscino e Antonio de Martino provare a smontare le accuse dell’Antimafia, che si basano su intercettazioni, riscontri degli investigatori e rivelazioni dei collaboratori di giustizia
CRONACA
28 settembre 2023
Castellammare. Pizzo fino a 200mila euro, a processo boss ed esattori dei D’Alessandro
Sono 15 le persone a giudizio