L'ex presidente della Juve Stabia, Franco Manniello, tira fuori i conti della Juve Stabia
«Per tre anni sono rimasto in silenzio, per il bene della Juve Stabia. Sono tifoso da quando sono nato e per 12 anni ho avuto l’onore di essere presidente del club. Ma sono stanco di essere tirato in ballo da chi ha bisogno di trovare alibi e giustificazioni e ne inventa ogni volta una nuova». Franco Manniello, ex presidente della Juve Stabia, si accomoda su una sedia e poggia su una scrivania alcuni documenti, tra cui i conti della società al 21 settembre 2020, giorno in cui avvenne il passaggio delle quote all’attuale socio Giuseppe Langella. «Ha detto che durante la loro gestione hanno dovuto saldare 10 milioni di euro di debiti, lo invito a rendere pubblici i bonifici. I miei conti sono qui e la invito a pubblicarli», dice Manniello.
Qual era la situazione debitoria al momento del suo addio?
«I debiti ammontavano a 6,8 milioni di euro, di cui 3,8 tributari. Rispetto ai debiti tributari avevamo una rateizzazione in corso per 3 milioni di euro».
Sei milioni e 800mila euro non sono 10 milioni, ma sono comunque tanti per una società di Serie C.
«Un attimo. L’attuale proprietà ha giustamente rivendicato il risultato del concordato che ha ridotto quel debito di 3,8 milioni di euro a 500mila euro».
Quindi i debiti complessivi si sono ridotti a 3,5 milioni?
«E’ proprio così e mi consenta di dire che a quel concordato ha lavorato uno straordinario professionista come il dottor Michele Aliberti, a cui purtroppo non è stato accennato nemmeno un grazie. Glielo voglio rivolgere io da tifoso».
La Juve Stabia vantava anche dei crediti quando lei ha lasciato la società?
«Altroché. I crediti ammontavano a 4,2 milioni di euro, tra questi rientravano i 2,7 milioni di contributi della Lega di Serie B e 583mila euro che altri club dovevano versare per la valorizzazione di alcuni calciatori tra cui Mallamo e Calò. Ai 4,2 milioni di euro, inoltre, vanno aggiunti gli 885mila euro della cessione dell’attaccante Forte».
Se questa era la situazione perché l’attaccano?
«Non glielo so spiegare, anche perché sono passati tre anni ormai. Di sicuro quando ho sentito il signor Giuseppe Langella dire che aveva saldato 10 milioni di euro di debiti, ho pensato di essere finito in una puntata di Scherzi a Parte. Con 10 milioni di euro di debiti puoi arrivare a rilevare una squadra che lotta per la salvezza in Serie A. Davvero si può pensare che gli stabiesi abbiano gli anelli al naso?».
Sembra infastidito.
«Lo sono per più motivi, ma vorrei fare una premessa. Quando il signor Giuseppe Langella è entrato nella Juve Stabia, suo fratello Andrea era già in società da marzo 2019. Se dice che ha trovato questa montagna di debiti, forse non se ne rende conto ma sta attaccando anche suo fratello. Inoltre, mi risulta davvero difficile pensare che da imprenditore quando ha deciso di rilevare le quote non abbia approfondito i numeri».
Perché ha deciso di parlare solo adesso?
«Non posso far passare che pubblicamente qualcuno dica che ho lasciato 10 milioni di euro di debiti. Dopo questa intervista non ne parlerò più, ma adirò le vie legali e i soldi che dovessero arrivare dai risarcimenti per diffamazione li donerei in beneficenza ai tifosi della Juve Stabia».
Manniello, lei ce l’ha con i fratelli Langella?
«Io voglio soltanto che venga detta la verità. Ho fatto il presidente per 12 anni e so bene le difficoltà che s’incontrano a gestire un club, soprattutto in Serie C. Ma questo non può giustificare le bugie. Dal punto di vista sportivo auguro ai fratelli Langella di portare la squadra in Serie A, da tifoso sarei l’uomo più felice del mondo».
Però è vero che sono costretti a fare i conti con un ambiente che è un po’ diffidente e questo poi sfocia in contestazioni, con offese e insulti.
«Purtroppo c’è sempre qualcuno che trascende, in modo ingiustificabile. A me lanciarono addirittura bottigliate sull’auto. Però va sottolineato con forza che la stragrande maggioranza dei tifosi è corretta, fischia quando le cose vanno male e applaude quando arrivano i risultati, come accade ovunque. Le posso assicurare che la giornata sportiva più bella della mia vita è stata quella del 19 giugno 2011, la finale per la Serie B con l’Atletico Roma, allo stadio Flaminio, che ho vissuto in curva assieme ai tifosi».
Beh, diciamo che lei ha saputo meritarsi più applausi che fischi.
«Quando io e l’amico Franco Giglio rilevammo la Juve Stabia, la situazione era disastrosa. Se qualcuno vuole togliersi lo sfizio, può chiedere all’ex sindaco di Castellammare Salvatore Vozza cosa trovammo. Però non ne abbiamo mai parlato pubblicamente, promettemmo la Serie B in tre anni e mantenemmo i patti nonostante le difficoltà».
Molti ancora oggi faticano a spiegarsi la retrocessione del 2020.
«Non lo dica a me, oltre alla delusione per quella retrocessione io ci ho rimesso anche tanti soldi. Credo che aver giocato senza pubblico, per via del Covid, l’ultima parte della stagione abbia pesato tanto. Perché il Menti che trascina i calciatori lo conosciamo tutti e in quel frangente ci avrebbe dato almeno 5-6 punti per salvarci. A quello bisogna aggiungere il furto che subimmo a Frosinone».
Lei è il presidente più vincente della storia della Juve Stabia, è vero che per vincere bisogna spendere molto?
«Mi creda, al di là dei soldi che sicuramente sono importanti serve la passione e la capacità di fare gruppo. Noi avevamo creato una famiglia, ancora oggi ci sono calciatori che giocano in Serie A, in Serie B, allenatori, dirigenti, che mi chiamano, m’inviano messaggi. Per questo non posso accettare che la mia immagine venga scalfita dalle bugie. Si fidi, il mondo del calcio è un circolo e alla fine si sa tutto di tutti».