Estorsioni dal 2006 al 2017, alla sbarra il gotha dei clan D'Alessandro e Cesarano
Estorsioni fino a 200mila euro, minacce e ritorsioni nei confronti degli imprenditori che tentavano di sfuggire al pagamento del pizzo. Un clima di terrore imposto per oltre un decennio a Castellammare da due clan, i D’Alessandro e i Cesarano, che da decenni si spartiscono il controllo criminale del territorio. Un procedimento che è uno stralcio della maxi-inchiesta Olimpo, che nell’area stabiese ha dato il là a diverse indagini poi scaturite in arresti e processi. E’ cominciato ieri – ma con un rinvio per alcuni errori di notifica – il processo a carico dei boss delle due cosche. Alla sbarra c’è tutto il gotha del clan D’Alessandro. A cominciare da Teresa Martone, la vedova del padrino fondatore della cosca di Scanzano, che è ritenuta una degli elementi chiave di questa inchiesta. L’Antimafia le contesta di aver imposto il pizzo a un’azienda stabiese. Per lo stesso reato, ma nei confronti di un altro imprenditore, è stata condannata a 4 anni in Appello. Alla sbarra con lei ci saranno anche i figli Pasquale e Vincenzo D’Alessandro, entrambi attualmente liberi dopo aver scontato pesanti condanne e ritenuti dall’Antimafia ancora ai vertici della cosca di Scanzano. Tra le figure apicali del clan che da decenni detta la sua legge criminale a Castellammare ci sono anche Sergio Mosca – suocero di Pasquale D’Alessandro – e Paolo Carolei, l’uomo che secondo le ricostruzioni investigative avrebbe favorito il patto tra Scanzano e il clan Di Martino di Gragnano, una decina di anni fa. Anche Mosca e Carolei saranno alla sbarra. Assieme a loro saranno a processo anche Giovanni Schettino, Vincenzo Di Vuolo, Luciano Verdoliva, Michele Carolei e Gaetano Vitale, considerati dalla Dda esattori del pizzo per conto del clan di Scanzano. Alla sbarra anche l’imprenditore Liberato Paturzo, ritenuto il costruttore di fiducia del clan D’Alessandro, e i suoi presunti prestanome Liberato Esposito e Carmela Ruocco. A processo pure Aldo Vispini e Luca Salvatore Carrano, per la Dda esattori al servizio del clan Cesarano. Di questa inchiesta fa parte anche il boss di Benevento, Saverio Sperandeo – che sarà giudicato con rito ordinario -, accusato di aver imposto un’estorsione a un imprenditore della penisola sorrentina impegnato in alcuni lavori nel Sannio, attraverso la mediazione di camorristi stabiesi. Ventiquattro i capi di imputazione contestati dagli inquirenti, quasi tutti legati a episodi estorsivi commessi tra il 2006 e il 2017, alcuni con cifre da capogiro da oltre 200mila euro. Nell’affare del racket sarebbe coinvolto anche un minorenne, accusato di aver partecipato ad una richiesta di pizzo da 5.000 euro a carico di uno degli imprenditori vittime dei D’Alessandro. Gli inquirenti contestano il sistema messo in atto dalle cosche che vessavano gli imprenditori anche ripetutamente nel tempo, assoggettando le vittime con minacce e atti camorristici finalizzati a convincere chi tentava di non pagare il pizzo. Un sistema messo in atto tanto dai D’Alessandro che dai Cesarano, con le vittime che in alcuni casi erano costrette a pagare il racket a entrambe le organizzazioni criminali, temendo ritorsioni.