Il nipote omonimo del padrino fondatore del clan di Scanzano a processo per l'inchiesta Cerbero. Rinviate a giudizio altre 29 persone
«Condannate Michele D’Alessandro a 20 anni di reclusione». Le parole dei pm dell’Antimafia, Giuseppe Cimmarotta e Cristina Curatoli, rimbombano nell’aula del Tribunale di Napoli dov’è in corso la requisitoria per gli imputati dell’inchiesta Cerbero che vede alla sbarra 34 persone accusate di far parte del clan D’Alessandro e di aver gestito gli affari illeciti della cosca di Scanzano nel periodo che va dal 2010 al 2015. Tanti i nomi di primo piano del clan che da decenni impone la sua legge criminale a Castellammare, tra cui spicca proprio quello del trentenne Michele D’Alessandro, figlio di Luigi e nipote omonimo del padrino che fondò la cosca quasi mezzo secolo fa. Per l’Antimafia già una decina di anni fa Michele D’Alessandro – oggi indagato a piede libero – aveva un ruolo di primo piano all’interno dell’organizzazione criminale, facendo le veci del padre tuttora detenuto al carcere duro, e gestendo in prima persona il business delle estorsioni e del traffico di sostanze stupefacenti, potendo contare anche sulla guida dello zio Augusto Bellarosa. Per questo motivo, l’Antimafia ha chiesto per lui una condanna a 20 anni di reclusione. Stessa richiesta avanzata per Antonio Rossetti, alias ‘o guappone, che per i magistrati in quel periodo è stato il vero reggente della cosca di Scanzano, ereditando lo scettro del comando dall’altro Michele D’Alessandro, figlio del boss Gigginiello (quest’ultimo recentemente tornato in libertà dopo una lunga detenzione). Otto anni di reclusione, invece, sono stati chiesti per Antonio Gambardella, trentatreenne che per l’accusa era al servizio di Antonio Rossetti, in particolare per il traffico di stupefacenti. Infine, sono stati chiesti 3 anni di reclusione a testa per i collaboratori di giustizia Pasquale Rapicano e Valentino Marrazzo che attraverso le loro rivelazioni hanno consentito alle forze dell’ordine di fare luce sugli affari degli scanzanesi. La sentenza per chi ha scelto il rito abbreviato potrebbe arrivare a metà febbraio. Ma il giudice per le udienze preliminari del Tribunale di Napoli, Maria Gabriella Iagulli, ha anche disposto il rinvio a giudizio per gli altri 29 imputati che hanno scelto di essere giudicati con il rito ordinario. Alla sbarra ci sono personaggi di spicco come Michele D’Alessandro (figlio del boss Gigginiello, attualmente libero) e sua mamma Annunziata Napodano; Teresa Martone, vedova del padrino defunto Michele e sua nuora Rosaria Iovine (moglie di Luigi). Nell’elenco degli imputati anche colonnelli di lungo corso della cosca di Scanzano e nuove leve, tutti indagati nell’ambito dell’inchiesta Cerbero condotta tra il 2010 e il 2015 dai carabinieri della compagnia di Castellammare di Stabia che hanno ricostruito tutti gli affari illeciti del clan D’Alessandro, da oltre un decennio ormai alleato dei Di Martino di Gragnano. E non a caso alla sbarra ci sono anche il boss Antonio Di Martino e il narcos Rossano Apicella. Tra i 30 capi d’imputazione e tra i tanti nomi “noti” alle cronache giudiziarie, spunta la figura di Augusto Bellarosa. Secondo l’Antimafia avrebbe fatto parte del clan D’Alessandro con un ruolo importante. Si sarebbe occupato di fare le veci di Luigi D’Alessandro e di guidare suo figlio Michele occupandosi, si legge nel capo d’imputazione, «dell’ingerenza del sodalizio criminale nel settore degli appalti pubblici», arrivando a interloquire «a nome dei D’Alessandro» con «gli esponenti politici di riferimento». Per tutti loro il processo comincerà a inizio marzo davanti al collegio presieduto dalla dottoressa Maria Camodeca. Il collegio difensivo composto tra gli altri dagli avvocati Stefano Sorrentino, Gennaro Somma, Alfonso Piscino, Renato D’Antuono, Mariano Morelli, Antonio de Martino, Giuliano Sorrentino e Francesco Romano, proverà a mettere in discussione un castello accusatorio che si basa su una lunghissima attività investigativa, migliaia di intercettazioni telefoniche, centinaia di filmati acquisiti dalle telecamere posizionate nei punti strategici dalle forze dell’ordine e di fotografie scattate durante gli appostamenti. (c)riproduzione riservata