Carlo Sarro è un avvocato, esperto in diritto amministrativo, ex deputato che in Parlamento spesso si è occupato del caso condoni e dell’abusivismo edilizio.
Avvocato la vicenda di Ischia è una tr...
Carlo Sarro è un avvocato, esperto in diritto amministrativo, ex deputato che in Parlamento spesso si è occupato del caso condoni e dell’abusivismo edilizio.
Avvocato la vicenda di Ischia è una tragedia immane. Che giudizio si è fatto di ciò che è accaduto?
«Anzitutto è una vicenda da inquadrare in modo semplice, nel senso che nessuno ha dimostrato fino ad ora che i luoghi della tragedia siano stati interessati da fenomeni di abusivismo. Le case colpite dalla colata di fango non sappiamo se erano legittime o meno. Ma non è questo che rileva».
E cosa rileva secondo lei?
«Quello che rileva è che questa tragedia come tante altre consumate fino ad ora dimostra ancora una volta quanto fosse stato necessario chiudere questa pagina dei condoni anni addietro. Era fondamentale procedere all’esame delle richieste e alla valutazione delle singole domande presentate dai cittadini per capire in quella massa caotica, quante erano richieste di sanatoria per un porticato, per un vano aggiuntivo».
Però ci sono dei casi eclatanti di case costruite senza alcuna licenza.
«Quelle meritano una valutazione diversa: un altro discorso deve essere fatto per quelle integralmente abusive o dove un intero edificio sia illegittimo. In questo caso tutti i condoni, quello dell’85, del 094 e del 2003 che è ancora più restrittivo prevedono su domanda di condono il parere vincolante e decisivo dell’autorità preposta alla tutela del vincolo. Non solo le soprintendenze per quello paesaggistico ma anche il genio civile per vincolo idrogeologico. Se un immobile viene costruito su un’area di competenza del genio civile e il genio civile dice che non si può costruire il condono non viene rilasciato».
Decidere prima cosa avrebbe comportato?
«Se fossero state esaminate avremmo fatto un primo screening delle pratiche minori: l’apertura della finestra, il porticato esterno. Avremmo avuto un censimento esatto delle situazioni e della loro localizzazione. Poiché le domande dell’85 risalgono a 40 anni fa se questi procedimenti fossero stati portati a compimento cinque anni dopo il condono, gli immobili sarebbero stati già demoliti, così come quelli nei pressi di alvei di fiumi. Avremmo contribuito a limitare i danni di questi eventi. C’è poi un’altra cosa da aggiungere».
Cosa?
«Quando parliamo di rischio idrogeologico, tracimazione di acque per i fiumi, slavine sulle montagne, le misure che la legislazione che prevede sono classificate come misure di mitigazione del rischio. Questo per dire che una quota di rischio ci sta sempre perché è il nostro territorio che ha caratteristiche geomorfologiche tali per cui esiste questo rischio ed è reso più incisivo anche dal patrimonio edilizio che ha il nostro paese».
Cosa insegna questa storia?
«Che prima chiudiamo questa storia altrimenti diventa un comodo alibi per tutti. Non sono un geologo, quindi non so dire perché si è staccata quella parte di montagna ma credo che dire che si tratti di abusivismo, che forse si trova a valle, significa non affrontare le origini di questo problema. L’abusivismo ha reso complicato le operazioni di soccorso, favorito la distruzione di case che ci sono state lungo il percorso della colata. Sono temi da affrontare con serietà e approccio scientifico. Per questo dico che il condono va affrontando e definito se non vogliamo nascondere con alibi i ritardi e le disfunzioni».