Arrestato nell’ambito dell’inchiesta Olimpo dopo una latitanza ditre mesi Resta la sorveglianza speciale per l’esponente di spicco del clan Afeltra-Di Martino
Pimonte
Arrestato nell’ambito dell’inchiesta Olimpo dopo una latitanza ditre mesi Resta la sorveglianza speciale per l’esponente di spicco del clan Afeltra-Di Martino
Elena Pontoriero
Prima notte a casa per il boss Raffaele Afeltra, alias ‘o borraccione, scarcerato per fine pena scontata nell’ambito dell’inchiesta Olimpo. Accusato di racket, aveva scelta il rito in Abbreviato e aveva incassato 5 anni e 6 mesi di detenzione in cella, poi ridotti in Appello. Terminato il periodo dietro le sbarre, il boss, 64enne, ha fatto ritorno nella sua abitazione in via Gesinella, ma resta la misura cautelare della sorveglianza speciale. Poco più di quattro anni fa, e precisamente il 5 dicembre del 2018, quando furono ordinati gli arresti per smantellare la holding del malaffare, ovvero un patto tra camorra e imprenditori conniventi.
Nell’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, che ha svelato il patto di ferro tra i clan D’Alessandro, Cesarano e le cosche dei Lattari, era stato iscritto nel registro degli indagati anche Raffaele Afeltra il reato sarebbe stato commesso ai danni di un imprenditore caseario di Agerola. Il titolare dell’azienda sarebbe stato prima intimorito, con il furto dei camion, per poi essere vittima di richieste di pizzo da 12mila euro. Da qui la fuga del boss di via Gesinella, terminata a 505 chilometri di distanza dalla sua abitazione, quando il 64enne aveva deciso di bussare alle porte del carcere di San Gimignano, alle 9 del mattino del 22 marzo 2019. Nei giorni successivi Raffaele Afeltra era stato sottoposto all’interrogatorio e, respingendo le accuse, aveva deciso di raccontare la sua versione dei fatti: «Non si è trattato affatto di un’estorsione ma semplicemente di una richiesta di un prestito che ero disposto a restituire». Ma le affermazioni del boss ‘o burraccione non hanno mai convinto gli inquirenti che, dal canto loro, avevano recuperato una serie di indizi assolutamente contrastanti con le dichiarazioni fornite dal 64enne. Dichiarazioni che, va ricordato, erano arrivate al termine di una latitanza durata tre mesi e mezzo, e conclusasi con la consegna spontanea del capoclan al carcere toscano. Partito il processo in Abbreviato, a Raffaele Afeltra è stata contestata non certo una richiesta di prestito, bensì un’estorsione commessa ai danni di un imprenditore caseario di Agerola. Il titolare dell’azienda sarebbe stato prima intimorito, con il furto dei camion, per poi essere vittima di richieste di pizzo da 12mila euro. E l’estorsione con metodo mafioso era stata giustificata dal boss come «una richiesta di prestito che avrei restituito ». Nella cricca di esponenti della camorra e dei colletti bianchi era finito anche il figlio del boss Leonardo Di Martino detto ‘o lione Antonio Di Martino, accusato di racket al pari del parente Raffaele Afeltra. Ed è proprio quest’ultimo, oggi, a essere al comando del potente clan Afeltra- Di Martino, poiché la maggior parte degli esponenti di spicco della cosca sono attualmente dietro le sbarre.
RAFFAELE AFELTRA Alias ‘o borraccione a capo dell’omonimo clan