Roma. L’obbligo delle mascherine in ospedale e nelle RSA “dovrebbe essere reso permanente, indipendentemente dalla pandemia in corso, al fine di proteggere al meglio le persone più vulnerabili da infezioni respiratorie di qualsiasi natura. E l’utilizzo di questo dispositivo, come indicato dalle autorità internazionali di sanità pubblica, è raccomandato in tutti gli ambienti al chiuso affollati e/o poco aerati”.
Lo afferma il presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta. “L’utilizzo delle mascherine nelle strutture sanitarie – rileva Cartabellotta in una nota – è fondamentale sia per proteggere professionisti e operatori sanitari, evitando di decimare ulteriormente il personale con assenze per malattia, sia soprattutto per tutelare la salute dei pazienti, in particolare quelli anziani e fragili. Peraltro, l’idea di abolire l’obbligo nazionale per poi reintrodurlo legittimamente a livello regionale o dei singoli ospedali e RSA genererebbe disorientamento dei cittadini, contestazioni rispetto alle disposizioni adottate nelle singole strutture sanitarie e aumento delle tensioni con il personale sanitario”.
Quanto alla pubblicazione settimanale del bollettino Covid, questa “appare ragionevole, anche tenendo conto della notevole variabilità giornaliera nella trasmissione e pubblicazione dei dati. Non è chiaro se anche la trasmissione obbligatoria agli organismi internazionali (Oms, Ecdc) avverrà con cadenza settimanale. In ogni caso – conclude – è fondamentale mantenere l’aggiornamento quotidiano dei dati Covid e della campagna vaccinale e garantirne accesso trasparente ai ricercatori per analisi e studi indipendenti”.
IL REINTEGRO «DISEDUCATIVO»
“Il reintegro dei sanitari non vaccinati contro Covid-19 e le ‘sanatorie’ per i no-vax rappresentano un’amnistia anti-scientifica e diseducativa”. Lo afferma il presidente della Fondazione Gimbe Nino Cartabellotta. La proposta del Mef di una sospensione fino al 30 giugno 2023 delle multe per gli over50 che non hanno rispettato l’obbligo vaccinale è “irrilevante dal punto di vista sanitario – commenta Cartabellotta – ma antiscientifica e fortemente diseducativa, visto che estende la cultura della sanatoria anche alle disposizioni che hanno l’obiettivo di tutelare la salute pubblica”.
“La parola d’ordine ‘discontinuità’ – spiega Cartabellotta in una nota – è assolutamente legittima in una repubblica democratica ma deve essere utilizzata anche per migliorare tutto quello che il Governo precedente non è riuscito a fare. Dalla raccolta più analitica dei dati sui pazienti ricoverati agli investimenti sugli impianti di aerazione e ventilazione dei locali chiusi; dall’accelerazione della copertura con i richiami vaccinali, all’implementazione di rigorosi protocolli terapeutici per le persone al rischio. Al momento, invece, la discontinuità sembra ridursi ad uno un mero smantellamento delle misure in atto e ad una vera e propria ‘amnistia’ nell’illusorio tentativo di consegnare la pandemia all’oblio, ignorando le raccomandazioni delle autorità internazionali di sanità pubblica”.
Rispetto allo stop dell’obbligo vaccinale per il personale sanitario e il reintegro dei sanitari no-vax sospesi, a partire dal 1 novembre, “il potenziale impatto in termini di sanità pubblica sarebbe modesto, sia perché la misura viene anticipata di soli due mesi rispetto alla scadenza fissata, sia perché riguarda un numero esiguo di professionisti. Ben diverso – rileva Cartabellotta – è però l’impatto in termini di percezione pubblica di questa ‘sanatoria’ e delle relazioni con la stragrande maggioranza dei colleghi che si sono vaccinati per tutelare la salute dei pazienti e la propria, anche al fine di garantire la continuità di servizio”. Peraltro, “al di là di una scelta individuale incompatibile con l’esercizio di una professione sanitaria, si tratta di persone che hanno spesso seminato disinformazione pubblica sui vaccini. Se da un lato il loro reintegro lancia un messaggio profondamente antiscientifico, va tuttavia ricordato che a livello locale possono essere stabilite disposizioni per affidare ai professionisti no-vax reintegrati – conclude – attività diverse da quelle clinico-assistenziali, senza configurare demansionamento”.