«Purtroppo io non riesco a convincermi delle cose che ho ascoltato in questo ultimo periodo: risultato scontato, sconfitta sicura. Per me, se avessimo giocato diversamente le nostre carte, forse ora ...
«Purtroppo io non riesco a convincermi delle cose che ho ascoltato in questo ultimo periodo: risultato scontato, sconfitta sicura. Per me, se avessimo giocato diversamente le nostre carte, forse ora parleremmo di un risultato diverso».
Gennaro Acampora è il capogruppo del Pd al Comune di Napoli dove i Dem sono la prima forza della coalizione. In direzione, davanti al segretario metropolitano Marco Sarracino, Acampora non le ha mandate a dire. “Il nodo oggi non sono due donne a capo dell’opposizione ma due persone esperte, in grado di farlo davvero. Donne o uomini ma che abbiano esperienza. Ma ci devono ancora spiegare da Roma – ha detto – perché in città vinciamo con alleanze larghe come avvenuto a Napoli e a livello nazionale l’alleanza è stretta e poco coerente”.
Cosa voleva dire Acampora in Direzione?
«Esattamente quello che ho detto: non accetto l’idea che qualsiasi fossero i candidati, il risultato era scontato. Forse nei collegi uninominali perdevamo uguale: ma con candidati con un radicamento elettorale più forte il risultato sarebbe stato migliore. Non condivido nemmeno chi a livello nazionale ha gestito e scelto sia la linea politica sulle alleanze sia le modalità di riempimento delle liste. Oggi queste persone ci spiegano che il Pd deve tornare a discutere tra la gente e nei territori. Ma dimenticano di dire che le scelte che hanno fatto ad agosto andavano in controtendenza con ciò che dicono oggi».
Perché, mi sembra di capire se seguo il suo ragionamento, che il Pd quando sfida il centrodestra nelle città vince.
«E’ un dato di fatto: nelle grandi città, penso a Napoli, Bologna, Roma, Firenze e Bari il centrosinistra vince con coalizioni larghe con o senza i cinque stelle ma con coalizioni. Noi ci siamo presentati, invece, a livello nazionale con una coalizione debole che non rappresentava per niente quelle della grandi città e in più non si è dato grande risalto ai tanti che lavorano quotidianamente nei territori. Sindaci, consiglieri regionali, comunali con contatto diretto sui territori sono stati ignorati. E allora oggi non può parlare chi dice ripartiamo dai territori e facciamo coalizione larga».
E’ solo un problema di alleanze?
«No, è anche di scelta politica. E’ chiaro che il Pd deve scegliere quale modello culturale deve seguire in modo chiaro e netto. Io immagino un partito che guardi allo sviluppo progressista e socialista dal punto di vista europeo come il modello spagnolo. Un movimento con una forte identità di sinistra e progressista, ma tenendo unito il mondo che c’è all’interno del Pd con le sue differenze».
Se portiamo indietro l’orologio, secondo lei un campo largo avrebbe vinto?
«Per me ciò che è accaduto col modello Manfredi, che oggettivamente è vincente nei numeri, si poteva ripetere. Ma dando un valore vero ai sindaci e a quei rappresentanti abituati al confronto quotidiano coi problemi e sui servizi ai cittadini. Quello è un modello che guarda alla cittadinanza ed è vincente. Altrimenti non si spiega perché il centrodestra perde nei comuni».
Ora con i Cinque Stelle cosa si fa?
«I cinque stelle sono riusciti a parlare con un pezzo di paese al Sud nonostante la netta diminuzione di voti. Hanno intercettato il sentimento popolare. Il rapporto a Napoli con loro è ottimo, dialogo continuo e costante coi cinque stelle. Secondo me, la prospettiva non solo deve continuare nel rispetto delle differenze, ma ampliando una collaborazione viva e vera e per questo io penso che pure se il Pd è il primo gruppo abbiamo responsabilità di guidare la maggioranza e di tenerla unità».
Se dovesse mandare un messaggio al Pd nazionale?
«Leggere Severgnini: che ha detto a Letta di fare come il Napoli di De Laurentiis. Privarsi di quelli che sono i migliori e puntare su facce nuove e vogliose di mettersi in evidenza»