Tanto tuonò che piovve. Volano gli stracci nel Movimento Cinque Stelle che si riscopre una vera e propria polveriera. Dopo la riunione del consiglio nazionale sulle parole di Luigi Di Maio sulla questione delle armi per l’Ucraina, la tensione sale alle stelle: per ora è congelata l’espulsione del ministro degli Esteri ma non le polemiche. Tanto che il consiglio nazionale 5S – dopo l’attacco del presidente della Camera, Roberto Fico («Arrabbiati e delusi») non usa mezzi termini per attaccare frontalmente l’ex capo politico dei grillini.
Le «recenti dichiarazioni del ministro Luigi Di Maio» sulla linea di politica estera M5s sono «esternazioni» che «distorcono le chiare posizioni» assunte a maggio e «oggi integralmente ribadite, sempre all’unanimità» si legge nel documento. «Sono parole inveritiere e irrispettose della linea di politica estera assunta dal Movimento, che mai ha posto in discussione la collocazione del nostro Paese nell’ambito» dell’Alleanza atlantica e dell’Unione europea.
Le dichiarazioni del ministro, per il consiglio 5S, «sono suscettibili di gettare grave discredito sull’intera comunità politica del M5S, senza fondamento alcuno». «Un più pieno e costante coinvolgimento del Parlamento – si chiede ancora nella nota – con riguardo alle linee di indirizzo politico che verranno perseguite dal governo italiano nei più rilevanti consessi europei e internazionali, inclusa l’eventuale decisione di inviare a livello bilaterale nuove forniture militari, funzionale a rafforzare il mandato del Presidente del Consiglio in tali consessi». Questi sono i punti su cui «auspica che l’intero Parlamento o, quantomeno, i Gruppi parlamentari che sostengono il governo possano convenire».
La sensazione è di essere arrivati allo scontro finale. Che si tratti di espulsione o scissione, quel che è certo è che i numeri saranno decisivi per determinare quali effetti avrà il terremoto nei Cinque Stelle sugli equilibri parlamentari e di governo.
L’eventuale addio di Di Maio, frutto di una cacciata o per decisione autonoma del ministro, potrebbe infatti provocare un esodo di diverse decine di parlamentari fedeli alla linea governativa del titolare della Farnesina. Indebolendo i gruppi di Giuseppe Conte, ma modificando anche gli equilibri e la geografia parlamentare del Movimento che attualmente conta 72 senatori e 155 deputati.
Il terreno di scontro è il più caldo di tutti: la politica estera. Ma sullo sfondo pesa anche la questione del limite del secondo mandato: allarma molto chi è in Parlamento da 10 anni e, dunque, non più ricandidabile. Su questo punto, in particolare, si sono saldate diverse anime del partito, prima distanti, ora unite nell’ostilità al leader. E così, la componente che fa capo al ministro Di Maio potrebbe allargare il consenso e provocare una frattura più profonda: che si tratti di espulsione o scissione, potrebbero essere fino a 60 i deputati e senatori disposti a seguire il titolare della Farnesina fuori dal Movimento.
Suoi fedelissimi sono considerati la viceministra all’economia Laura Castelli e parlamentari o ex membri di governi precedenti come Manlio Di Stefano, Vincenzo Spadafora, Mattia Fantinati, Sergio Battelli, Dalila Nesci, Virginia Raggi, Claudio Cominardi Primo di Nicola, gli ex sottosegretari Vacca e Valente. Con Conte, invece, il ministro Stefano Patuanelli e dirigenti di peso come Vito Crimi, Paola Taverna, Ettore Licheri e Alfonso Bonafede.
È evidente che molto dipenderà dalle modalità con cui si arriverà alla spaccatura. E dal posizionamento dei pentastellati rispetto al governo: se dovessero allontanarsi dall’attuale maggioranza di Draghi, infatti, i gruppi di Conte dovrebbero affrontare defezioni più numerose. Tanto più che i sondaggi e i risultati delle recenti amministrative hanno generato timori sul futuro in molti peones. Anche da questi sviluppi dipenderanno, insomma, le scelte dell’area di mezzo, occupata da mediatori come gli attuali capigruppo e i battitori liberi. Riflettori, dunque, sulle mosse future di Di Maio e dei suoi uomini. E non è un caso che negli ultimi giorni il ministro degli Esteri sia finito sotto la lente di ingrandimento del cosiddetto polo riformista che punta su Beppe Sala come possibile leader.