Torre del Greco. La sentenza del giudice monocratico Marco Feminiano del tribunale di Torre Annunziata ha chiuso un incubo lungo tre anni per Ciro Piccirillo, il politico-poliziotto accusato di rivelazione del segreto d’ufficio nell’ambito dell’inchiesta sullo scandalo del voto di scambio a Torre del Greco alle elezioni del 2018.
Cosa ha provato alla lettura del verdetto: assolto per non avere commesso il fatto?
E’ stata un’emozione indescrivibile, una liberazione sotto il profilo etico/morale e sotto l’aspetto professionale. Da servitore dello Stato sentivo un dolore insopportabile all’idea che i cittadini potessero pensare che un rappresentante delle istituzioni e delle forze dell’ordine di potesse essere macchiato di un crimine, un reato così meschino.
Un’ipotesi di reato particolarmente grave per un poliziotto: rivelazione del segreto d’ufficio.
Era proprio questo il mio tormento. Alla fine l’accusa avanzata dalla magistratura inquirente è stata giustamente esaminata e sviscerata fino in fondo e si è dimostrata infondata, ma il macigno era grande e pesava sulla mia professionalità e sulla mia coscienza.
Una professionalità costruita al fianco di un paladino della lotta alle mafie.
Sì, sono stato a Palermo per due mesi a fianco di Paolo Borsellino. Ho fatto parte della sua scorta prima della tragica strage e in quei mesi a Palermo ho potuto comprendere l’importanza di sentire l’appartenenza allo Stato. Siamo stati lì a difesa dello Stato e l’accusa di passare notizie all’anti-Stato era un peso insostenibile.
Da Palermo si è ritrovato a Teramo, in esilio dopo il divieto di dimora in Campania. Cosa ha provato nell’anno in cui è stato lontano da Torre de Greco e sospeso in via precauzionale dalla carica di consigliere comunale?
Inizialmente confusione e angoscia, non riuscivo a comprendere cosa stesse accadendo. Poi il mio spirito di servizio e la mia fiducia nella magistratura completa, sia nell’organo inquirente sia nell’organo giudicante, mi hanno dato la forza per andare avanti. Ho sempre avuto la consapevolezza della mia innocenza, anche se ci sono voluti tre anni per dimostrarla. è stata un’esperienza provante, ma alla fine le soddisfazioni sono ancora più grandi e sentite quando provengono da un momento di sofferenza.
E’ più la gioia per il verdetto o la rabbia per il lungo calvario?
Ogni cittadino, in caso di dubbi, può e deve essere sottoposto alle dovute attività giudiziaria e può e deve essere messo nelle condizioni di dimostrare la propria innocenza: alla fine deve emergere la verità dai processi e sono certo emerge sempre. sempre dai processi. Gli organi inquirenti hanno dimostrato nuovamente, qualora ce ne fosse stato bisogno, come l’unico obiettivo della magistratura è il trionfo della giustizia, senza remore e pregiudizi.
Dopo la lettura della sentenza di assoluzione avrà ricevuto decine di telefonate e messaggi. Quale è stata la chiamata che le ha fatto più piacere?
Ovviamente, quella di mia figlia. Non nego di essermi commosso, perché è la realizzazione dell’educazione trasmessa negli anni a mia figlia: il sentimento di giustizia, i presupposti che regolamentano le istituzioni, la correttezza nell’agire. Questo processo andava a minare, anche se mia figlia non ha mai avuto dubbi sulla mia innocenza e mi è stata sempre vicino, i miei insegnamenti. Ma oggi questo verdetto è andato a ristabilire quell’equilibrio e quell’educazione che per anni hanno caratterizzato il rapporto con mia figlia, anche se sono convinto non fosse stata scalfita, ma l’ha definitivamente sancita e cristallizzata. Un ringraziamento doveroso, infine, ai miei avvocati: Luigi Ascione e Salvatore Russo. Hanno creduto dall’inizio alla mia innocenza, ma non solo: mi sono stati sempre vicino sotto il profilo amicale, aiutandomi a superare gli iniziali momenti di sconforto e accompagnandomi fino all’attesa e sospirata sentenza di assoluzione.
@riproduzione riservata