Pompei. In prima battuta i marmi, specialmente quelli colorati, più rari e preziosi. Poi le statue, soprattutto quelle di bronzo che potevano essere fuse, e ogni oggetto di valore che poteva essersi salvato.
Nella Pompei ridotta a paesaggio lunare dall’eruzione del 79 d.C. il processo di spoliazione cominciò subito, con i pochissimi sopravvissuti alla ricerca di qualcosa da mettere in salvo. Poi con gli emissari di Roma, i curatores che Tito spedì sul campo con l’ordine di recuperare qualsiasi cosa potesse tornare utile alla comunità. Con tutta probabilità è così che il maestoso foro della città perse già da allora la magnificenza della pietra che lo ricopriva. Senza contare le meraviglie portate via dal 1748, con la riscoperta della città sepolta e dei primi, poco scientifici scavi.
Sempre nulla però in confronto alle razzie selvagge, alle cacce al tesoro senza fine e al sistematico saccheggio che ha martoriato Pompei, come del resto tutto il sottosuolo italiano, dagli anni ’70 del Novecento fino almeno alla metà degli anni 2000. “Un fenomeno senza uguali in nessun paese occidentale, una depredazione di massa che ha arricchito tanti musei del mondo e collezioni private”, dice l’archeologo Massimo Osanna, per anni alla guida del parco archeologico campano, oggi direttore generale dei musei pubblici italiani.
Nasce un po’ da queste considerazioni e dai passi avanti fatti negli ultimi anni per arrivare a una nuova, condivisa, consapevolezza del patrimonio artistico pubblico, “Il mondo nascosto di Pompei”, racconto appassionato delle scoperte più recenti, frutto di un progetto condiviso con la Procura della Repubblica di Torre Annunziata, con la collaborazione dei carabinieri, per mettere in salvo dai tombaroli la grande villa suburbana di Civita Giuliana.
Scritto a quattro mani con l’archeologa Luana Toniolo, il nuovo volume, che esce con Rizzoli, ripercorre, svelandone segreti e retroscena, la storia particolarissima di questi scavi, avviati nel 2017 proprio dalla cantina di casa di due audaci tombaroli, i fratelli Giuseppe e Raffaele Izzo, che per anni, dopo aver allestito un attrezzatissimo cantiere sotterraneo, hanno scavato tunnel alla ricerca di tesori da depredare in quella che era stata una delle più belle ville di campagna dell’ultima Pompei.
Una residenza con magnifici ambienti affrescati e favolose terrazze che arrivavano fino al mare al pari della celeberrima Villa dei Misteri, ma con una storia assai più sfortunata. Scoperta e parzialmente scavata nei primi anni del Novecento, questa dimora – forse appartenuta alla famiglia senatoria dei Mummi – è stata privata degli affreschi in Terzo Stile e degli oggetti che ornavano le stanze riportate alla luce in quel primo scavo: in parte venduti e dispersi, in parte distrutti dalle bombe nel 1943.
Il saccheggio sistematico dei tombaroli ha aggravato la situazione. “Quando abbiamo cominciato sapevamo che non c’era tempo da perdere”, racconta oggi Osanna. Nel nuovo cantiere, finanziato dal Parco con 1 milione di euro l’anno, le sorprese per il team multidisciplinare di esperti sono state comunque grandi, dal ritrovamento all’entrata del criptoportico dei due fuggiaschi “riemersi” grazie alla tecnica dei calchi, al fastoso carro nuziale con le decorazioni in bronzo e argento, i cavalli di gran razza nella stalla, lo struggente stanzino degli schiavi dove il gesso dei calchi ha fatto tornare alla luce uno spaccato di vita unico sulla popolazione più umile della città.
Un’avventura che sta andando avanti, sottolinea nella postfazione l’attuale direttore Gabriel Zuchtriegel. L’obiettivo è quello di riportare alla luce l’intero complesso e di renderlo visitabile. Distante solo poche centinaia di metri dalla Villa dei Misteri, sottolinea Osanna, la Villa di Civita Giuliana potrà coinvolgere, stupire, insegnare altrettanto.
Ma anche di più: “Può diventare un simbolo della lotta dello Stato contro la piaga dello scavo clandestino e del commercio di archeologia”. Dai tempi delle razzie a quelli del riscatto.