La salvezza è un ponte, attraversarlo significa varcare la frontiera e lasciarsi le bombe alle spalle. E così un flusso continuo di donne, bambini e anziani in fuga dall’orrore della guerra ucraina ha scelto quella via di fuga, attraverso il fiume Nistro, per approdare a Otaci, nel nord della Moldavia. Le famiglie di ucraini ci arrivano a piedi dai villaggi più vicini, oppure in auto o a bordo di pullmini, molti direttamente da Kiev, con i loro bagagli e le loro storie.
Nessun paragone, per il momento, con le folle oceaniche viste in questi giorni alla frontiera polacca, eppure il confine tra Ucraina e Moldavia – con vista sulla vicina Romania – si conferma come la seconda via di fuga dalla guerra scelta dagli ucraini per cercare riparo. Oltre il confine moldavo, a soli 20 minuti di macchina, sulla sponda sinistra del fiume Nistro, c’è il primo avamposto ucraino, la città di Mohyliv-Podol’skyj. Trentamila anime sparite nel nulla. Una città ormai fantasma avvolta nel silenzio e apparentemente deserta. L’unico luogo affollato è la strada che porta al ponte, alla frontiera, dove si accalcano in fila macchine e camion a formare una colonna di profughi.
Otaci, nel nord della Moldavia, è diventato quello che a sud è rappresentato da Palanca: sono i due canali di fuga verso il Paese, diventati una via di fuga per i profughi dall’Ucraina verso ovest. Una volta giunti alla frontiera sono ore di fila per sbrigare le pratiche. Ad attendere i profughi, sul lato moldavo, spesso ci sono amici e parenti con i loro furgoni e i loro bus. Per chi non ha nessuno, e non sa dove andare, ci sono le organizzazioni umanitarie che fanno capo all’ Unhcr e a Medici senza frontiere a fornire assistenza. In lontananza si sente il suono delle sirene anti aereo: “Qui – spiega una ragazza in attesa di poter varcare l’ingresso in Moldavia – la guerra non è ancora arrivata, ma il conflitto dista solo 100 km, e sono diverse le città sotto i bombardamenti”.