“Emerge al di là di ogni ragionevole dubbio la perpetrazione di scavi clandestini nel sito indicato in via Civita Giuliana. Gli scavi hanno gravemente e irreparabilmente danneggiato, nel triennio 2...
“Emerge al di là di ogni ragionevole dubbio la perpetrazione di scavi clandestini nel sito indicato in via Civita Giuliana. Gli scavi hanno gravemente e irreparabilmente danneggiato, nel triennio 2014-2017, gli ambienti dell’antica Villa Romana insistente in buona parte sotto l’abitazione degli imputati”. E’ questo uno stralcio delle motivazioni per le quali il giudice del Tribunale di Torre Annunziata, Silvia Paladino, il 20 settembre scorso condannò in primo grado gli ultimi tombaroli di Pompei: Giuseppe e Raffaele Izzo, padre e figlio di Torre Annunziata. Grossisti nel commercio della frutta, entrambi con precedenti alle spalle, proprietari di un appartamento al primo piano oltre a un grosso terreno in via Civita Giuliana a pochi passi dal Parco Archeologico di Pompei. Sotto questo terreno – secondo le indagini condotte dall’ex pm anticamorra Pierpaolo Filippelli – a partire dal 2014 e fino al mese di agosto del 2017 sarebbero stati scavati cinque tunnel clandestini, alti ottanta centimetri e lunghi settanta metri lineari, per saccheggiare i preziosi reperti d’epoca romana rinvenuti dentro gli ambienti rustici e nobiliari della villa suburbana seppellita dall’eruzione del 79 d.C. Una domus resa nota, nel 2019, soltanto grazie al ritrovamento dei calchi di tre cavalli con bardatura militare. Papà Giuseppe Izzo, in primo grado, ha incassato una condanna a tre anni e mezzo di carcere. Suo figlio Raffaele è stato invece condannato a tre anni di reclusione. Per entrambi, il giudice ha disposto anche l’interdizione per cinque anni dai pubblici uffici. Danneggiamento, scavi clandestini, impossessamento di beni archeologici e violazione di sigilli le accuse mosse a vario titolo dall’ex pm anticamorra Filippelli contro i due presunti tombaroli che, difesi dagli avvocati Francesco Matrone e Maria Formisano, ormai sono pronti a fare ricorso in Appello. In attesa dell’avvio del processo di secondo grado, le motivazioni del giudice del Tribunale di Torre Annunziata sembrerebbero inchiodare padre e figlio. “Gli scavi sono stati realizzati prevalentemente in proprietà Izzo o, comunque, partendo dalla loro proprietà o nelle immediate adiacenze. Sono stati individuati ben tre varchi di accesso – così motiva sempre il giudice di primo grado – ai cunicoli sotterranei: oltre all’ingresso dalla proprietà contigua a quella degli Izzo, ne è stato rinvenuto un altro dalla cantina degli Izzo ed altro ancora da una botola coperta da una baracca in lamiera posta nel giardino degli imputati”. E ancora: “In alcuni casi il terreno derivante dagli scavi è stato trovato nei tunnel all’interno di cassette per la frutta, circostanza questa che rimanda all’attività svolta da Giuseppe Izzo di vendita di frutta”. Particolarmente significativo, infine, un ulteriore stralcio delle motivazioni: “Le indagini hanno dimostrato il collegamento e i contatti degli Izzo, anche all’epoca dei fatti in contestazione, con noti ricettatori di beni archeologici”.