Torre del Greco. Nel corso dell’interrogatorio reso ai carabinieri nelle ore successive alla morte del figlio di due anni e mezzo, Adalgisa Gamba, la donna di 40 anni di Torre del Greco accusata dell’omicidio del piccolo, sostanzialmente ammette gli addebiti, spiegando le motivazioni del suo gesto.
È quanto si evince dall’ordinanza di convalida del fermo della donna firmata dal gip del tribunale di Torre Annunziata Fernanda Iannone. Nell’ordinanza viene riportato a tal proposito uno stralcio del verbale di interrogatorio reso al pm: ”Ho notato – dice la quarantenne parlando del figlio – un certo ritardo nel linguaggio e, più in generale, problemi di apprendimento, sebbene fisicamente sia sempre stato molto attivo. Era solito fare dei movimenti ripetuti con le mani, agitandole dinanzi al volto ed in particolare agitando anche le dita. Avevo parlato anche con mia mamma di questa mia convinzione, era diventato un tarlo fisso”.
La donna sostiene: ”Nella mia testa tante volte mi sono detta che forse sarebbe stato meglio avere solo una figlia. Lo spettro dell’autismo ha cominciato a perseguitarmi, perché mio figlio faceva cose che la mia prima bambina non aveva mai fatto”. Quindi il racconto degli attimi drammatici che hanno preceduto la morte del piccolo: ”Poi mi sono diretta in direzione dello scoglio, ma non so dirvi perché abbia deciso di portarlo da quella parte. Non ho avuto la lucidità in quel momento di comprendere le mie azioni”.
E alla domanda se abbia annegato il piccolo risponde: ”No, non so dirvi, è come se avessi avuto un vuoto in quel momento. Come se il cervello in quel momento fosse spento”. Per gli inquirenti la donna ha il piccolo in braccio e con il bambino raggiunge il largo fino a quando l’acqua non le arriva al petto, quando cioè il bambino sarebbe con la testa sotto l’acqua: ”Confermo – ammette Adalgisa – che il bambino è sempre stato nelle mie braccia, gli parlavo ma non davo peso al fatto che fosse sotto l’acqua”.
E quando le chiedono cosa facesse il bimbo, Gamba risponde: ”Non piangeva ma comunque si muoveva. Io guardavo il mare e pensavo alla libertà, senza rendermi conto di tutto il resto. Ho avvertito una sensazione di liberazione, per me e per quella che sarebbe stata la vita di mio figlio. Credo di non essere stata in me”.
Ma quando gli inquirenti incalzano, chiedendo se ha annegato il figlio, la donna spiega: ”Non ho realizzato fosse il bambino, non lo so perché è andata così. Mi sono resa conto di quello che è stato quando mi sono ritrovata in caserma. Non l’ho sopportato, è stato il mio incubo giorno e notte, giorno e notte”.
Gli inquirenti inoltre sono convinti che il piccolo sia rimasto in mare quasi tre ore. Adalgisa Gamba sarebbe infatti arrivata nella zona de La Scala alle 18-18.15 mentre è stata raggiunta dal marito non prima delle 21:35, con una temperatura dell’acqua non superiore a 15 gradi e un’altezza della stessa nel primo punto indicato dalla donna che alle 22:30 era di 20 centimetri. Per gli inquirenti, come si evince dall’ordinanza di convalida del fermo, a queste condizioni il piccolo ”non avrebbe potuto che bere un po’ d’acqua”.
Per chi indaga ”fisiologicamente la temperatura media di un essere umano si aggira sui 37 gradi e pertanto il contatto prolungato con acqua gelida compromette inevitabilmente la normale circolazione sanguigna, comportando danni irreparabili”.
Per il giudice ”alla luce di tali elementi, sussistono gravi indizi di commissione del reato di omicidio e della sua ascrivibilità ad Adalgisa Gamba”.