Siamo il Paese con l’uomo più veloce del mondo e con le istituzioni più lente nella programmazione Il presidente Fidal sottolinea le emergenze campane «S’investa nello sport: strappa ragazzi alla strada»
Si sono allineati i pianeti dello sport italiano. Dopo un lungo straziante periodo, procurato dall’emergenza Covid-19, ci siamo rialzati e abbiamo iniziato a guardare il mondo dall’alto.
Spinta da una forte voglia di rivalsa, l’Italia s’è presa la scena con carattere, quasi per caso, quando nessuno ci avrebbe scommesso un soldo, secondo il nostro più classico e tradizionale copione.
Il tricolore è stato portato in alto con fierezza da molti atleti, l’inno di Mameli è diventato quasi un tormentone. Abbiamo trionfato a Wembley con la Nazionale di calcio di Roberto Mancini che s’è espressa col chiaro accento napoletano di Donnarumma, Insigne e Immobile; abbiamo strabuzzato gli occhi davanti alle imprese di Jacobs e Tamberi, gli eroi azzurri di Tokyo che hanno dominato discipline d’élite dell’atletica leggera; abbiamo incantato Wimbledon con Berrettini; abbiamo stravinto alla cronomondiale con Ganna; abbiamo alzato un muro d’oro sotto la rete degli Europei femminili di pallavolo. E non è tutto. Abbiamo messo al collo argenti e bronzi che hanno il sapore dell’oro, come quello di Irma Testa, prima italiana a raggiungere un podio olimpico sul ring. E soprattutto abbiamo dimostrato che la disabilità non conta quando si ha un cuore immenso come quello di Sabatini, Caironi e Contrafatto, regine dei cento piani alle Paralimpiadi, l’immagine più bella di tutte le notti magiche.
Ma adesso che l’estate è un dolce ricordo e che si apre un autunno di riflessione, ci accorgiamo di tutte le contraddizioni dello sport italiano. Mettiamola così: siamo il Paese con l’uomo più veloce del mondo (Marcell Jacobs, 9”.80 nei 100 metri olimpici) ma con le istituzioni più lente sul versante della programmazione. Come dire: gli atleti corrono, il Palazzo arranca. Due volti della stessa medaglia, giusto per restare in tema di podi. Dopo i brindisi e i coriandoli torniamo a fare i conti con le strutture fatiscenti e con i tagli delle risorse, e l’attenzione sembra lentamente sparire dietro il paravento delle emergenze prioritarie delle agende politico- amministrative. Molti giovani non sanno dove e come mettere in mostra il proprio potenziale, le società elemosinano spazi e impianti, i sindaci negano le palestre. Gli impianti sportivi all’avanguardia in Italia soccombono in maniera imbarazzante al numero di quelli abbandonati. Le stesse Universiadi del 2019 hanno inciso ben poco sul processo di riammodernamento delle strutture e ovviamente non hanno colmato il divario tra Nord e Sud. In Campania ancora si fa fatica a diffondere la cultura dello sport, gli stadi sono sgarrupati, i palazzetti spesso sono aborti edilizi, le palestre scolastiche sono poche e messe male. Ci sono le promesse del governo Draghi, che ha annunciato lo stanziamento dei fondi tramite il recovery plan, ma le parole e i buoni propositi non bastano. Serve coesione, unità d’intenti e programmazione.
Nella nostra regione l’elenco delle strutture da riqualificare è lunghissimo. Eppure, lo sport è anche un antivirus al crimine e al degrado sociale, ha un’importante funzione educativa, serve ad integrare, ad aggregare, soprattutto in realtà difficili dove i ragazzi si perdono e la dispersione scolastica registra percentuali da brivido.
«Lo sport è importante in ogni realtà territoriale, ma in Campania lo è di più. Qui c’è assoluto bisogno di aiutare i giovani a conseguire sane abitudini di vita e un equilibrato sviluppo psico-fisico».
Bruno Fabozzi è il presidente campano della Federazione Italiana di Atletica Leggera, la disciplina che più di tutte, nonostante la scarsa attenzione riservatale da istituzioni e media, ha regalato all’Italia la ribalta mondiale nello sport. «Il problema dell’impiantistica in Campania esiste da tempo. Ed è irrisolto», dice Fabozzi. «Nonostante i nostri sforzi per costruire collaborazioni con le amministrazioni comunali non riusciamo ad ottenere risultati soddisfacenti».
Eppure molti bambini iniziano ad avvicinarsi all’atletica leggera. «E con i successi ottenuti sulle piste di Tokyo senz’altro ci sarà una nuova ondata di tesseramenti, che oggi in Campania sono 6.500. L’atletica leggera nelle notti magiche d’estate è stata una bella sorpresa per tutti gli italiani». Ma perché crescano nuovi Jacobs e nuovi Tamberi bisogna investire risorse ed energie. E invece, da questo punto di vista, l’atletica, soprattutto in Campania, sta vivendo un momento buio, come ammette il presidente Fabozzi. «Il Comitato Regionale ha ereditato una situazione critica, pensate che una qualsiasi provincia del Nord ha più impianti di quanti se ne contano nella nostra regione, e qui quei pochi che sono aperti spesso sono anche sprovvisti di omologazione, il che vuol dire che non possono ospitare gare». Una situazione di stallo che si è aggravata durante il lockdown.
Caserta, per esempio, è un caso emblematico. Un dito nella piaga. «Alcuni anni fa, quand’ero presidente provinciale della Fidal Caserta, l’amministrazione comunale ci affidò la gestione della pista di atletica dello stadio Pinto, noi l’aprimmo ai cittadini e alle società di atletica leggera di tutto il territorio. L’impianto divenne un punto di riferimento regionale. Oggi quella pista è destinata a scomparire nell’ambito del progetto di ricostruzione che cancellerà per sempre l’atletica dal Pinto». L’unica crociata da portare avanti, dice Fabozzi, «è quella di un mini-impianto per lo sport di base da costruire a ridosso dello stadio».
Ma Caserta non è l’unico fronte caldo nella battaglia a favore dello sviluppo dello sport in Campania. Ci sono buchi neri dentro i quali si sono persi milioni e promesse. Dal Collana di Napoli allo stadio-scandalo di Acerra. A Pompei, per esempio, si discute da anni della riapertura del Bellucci nel cuore della città, e resta l’obbrobbrio di Fossavalle, lo stadio fantasma ai piedi del Vesuvio. A Sorrento, il palazzetto dello sport non rispetta i criteri di agibilità. A Torre Annunziata il Giraud è un caso irrisolto da 20 anni, tra inagibilità, vincoli e ristrutturazioni- toppa, e il palazzetto di via Volta è da mezzo secolo una discarica a ridosso delle scuole. Il progetto della cittadella dello sport a Torre del Greco è un fallimento che pesa su decine di amministrazioni comunali e sovracomunali. Molte altre città attendono ricostruzioni di impianti fatiscenti e obsoleti. Una mappa desolante, insomma. Come dire: primi sui podi, ultimi nelle strutture.