L’astensionismo più alto di sempre ha caratterizzato questa tornata elettorale autunnale e i ballottaggi che si sono svolti ieri e oggi hanno confermato la forte disaffezione alle urne che generalmente non sfiora l’elezione dei sindaci. Stavolta, invece, alla chiusura dei seggi, ha votato solo il 43,94% nei 63 Comuni chiamati a scegliere il primo cittadino: al primo turno era andato a votare il 52,67%. Dunque ha votato molto meno della metà degli elettori, con un calo di circa 9 punti percentuali rispetto all’affluenza, pur già esigua, di due settimane fa. Il risultato della capitale (solo il 40,68% dei votanti) abbassa la media del Lazio, regione in cui però si trova anche il Comune con la partecipazione più alta: a Corchiano, in provincia di Viterbo, hanno votato l’87,14% degli aventi diritto, più del primo turno (80,22%) concluso con un singolare pareggio di 1.141 voti a testa fra i due candidati. Certamente la sostenuta flessione dell’affluenza è la causa del calo forte di voti diretti all’elezione del sindaco: in pratica, rispetto al 1993, quando ci fu la prima elezione diretta dei primi cittadini con la novità dei ballottaggi, i consensi al secondo turno sono quasi dimezzati. A Roma ad esempio, Gualtieri ha ottenuto oltre 550 mila voti ma la Raggi 5 anni fa ne aveva avuti 770 mila, 871 mila Veltroni nel 2001 per non parlare degli oltre 955 mila di Rutelli nel ’93. Anche a Torino, Lo Russo vince con 168.997 voti, ma la Appendino ne aveva presi 292.764 e Chiamparino, nei due mandati, ne aveva avuti circa 300 mila. In una tornata elettorale segnata dall’astensionismo, è Seveso, in provincia di Monza e Brianza, il Comune dove i ballottaggi hanno attirato la percentuale più bassa di elettori: 38,67%. I casi di pareggio al primo turno sono gli unici che hanno prodotto un aumento dell’affluenza.
È successo anche in altri due piccoli centri: a Torricella Verzate, meno di quattrocento anime nel Pavese, dove al secondo turno è stata del 68,99%, oltre tre punti percentuali più di due settimane fa; e a Rondanina, in provincia di Genova, dove si è passati da 44 a 49 voti. Fra le grandi città spiccano le affluenze di Benevento (59,58%) e Isernia (57,50%), decisamente più alte del 42,13% registrato a Torino, dove c’è stato un nuovo minimo storico: basta ricordare il 71,4% di cittadini alle urne per il ballottaggio della prima elezioni di Sergio Chiamparino.
Forte calo di affluenza anche in Calabria: a Cosenza l’affluenza alla chiusura dei seggi è stata del 44,71% contro il 64,87% del primo turno di 15 giorni fa. La preoccupazione per l’alto astensionismo è di tutti i partiti politici. “Dobbiamo lavorare perché si superi e si riduca l’astensionismo”, ha detto Roberto Gualtieri, sottolineando la necessità del ritorno ad una maggiore fiducia nella politica. “Il vero protagonista di questa tornata di ballottaggi è in modo drammatico l’astensionismo. Il Movimento 5 Stelle ha il dovere di dare una risposta a chi non crede più nella politica come soluzione”, dice Giuseppe Conte, leader di M5S. “Se oggi è andato a votare una minoranza del Paese ed ha vinto l’astensionismo vuol dire che la politica deve riflettere perchè forse ha fatto degli errori”, è il parere anche del ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, Mariastella Gelmini. E per Giorgia Meloni, leader di FdI, “nessun partito può gioire quando una città come Roma elegge il proprio sindaco con
Il centrosinistra riequilibra geografia
Il centrosinistra inverte una tendenza in corso da qualche anno, il centrodestra perde qualche posizione ma, rimane, in linea teorica, ancora avanti nella carta geografica dei Comuni. Dopo i ballottaggi cambia la mappa delle amministrazioni dei principali Comuni italiani, che come sempre forniscono preziose indicazioni sulla temperatura politica del paese. La mappa cambia soprattutto nel peso specifico: se infatti il numero dei capoluoghi di provincia è in sostanziale equilibrio, quello dei capoluoghi di regione, vede il centrosinistra riconquistare Torino e Roma: attualmente sono 12 quelli a guida Pd e alleati, otto per il centrodestra e uno per il Movimento 5 Stelle che è la forza che più di ogni altra esce ridimensionata da questa tornata elettorale, almeno in termini di Comuni governati. Il centrosinistra guida oggi le cinque città italiane più grandi, otto delle dodici città con più di 250mila abitanti e 17 delle 25 città con più di 150mila abitanti. Segno evidente anche di una tendenza in atto da alcuni anni (e non solo in Italia) che vede le forze progressiste egemoni nelle grandi città e quelle conservatrici più forti nei piccoli centri: una dinamica sempre più polarizzata che potrebbe essere una delle chiavi per decidere chi vincerà le prossime politiche. Ma rimanendo all’ultima tornata elettorale che ha visto al voto 19 capoluoghi di provincia il centrosinistra ha vinto in 14 e governava in otto: ne ha strappati due al M5s, tre al centrodestra e si è alleato a un’esperienza civica che già governava a Latina. Il centrodestra difende i cinque Comuni dove già guidava l’amministrazione (fra cui Trieste), ma non fa nuove conquiste, come, invece, era successo in tutte le tornate amministrative degli ultimi anni. La mappa dell’Italia, quella fatta dalle cento città e dalla provincia che spesso fa fatica ad entrare nel dibattito nazionale si riequilibra: il centrosinistra riconquista un po’ di terreno, ma se il confronto si fa con cinque anni fa il bilancio rimane pesantissimo. Governava infatti 68 capoluoghi contro i 28 del centrodestra: il M5s, che aveva appena conquistato Roma e Torino, si fermava a cinque.
Da lì, per il Pd, è cominciata la slavina che nelle amministrative degli anni successivi lo ha portato a perdere posizioni su posizioni, con il centrodestra che ha sfondato anche in aree che sembravano storicamente inaccessibili, conquistando Comuni anche nelle regioni rosse dove la sinistra non aveva mai perso nel dopoguerra, come Siena, Pisa, Pistoia, Forlì e Ferrara. Il conto, oggi, è sostanzialmente in equilibrio e dipende, nei dettagli, dal perimetro delle coalizioni. Se si considerano in senso classico, centrodestra batte centrosinistra 50 a 46. Ma diventa quasi un pareggio se si rappresenta il M5s (che dalla carta geografica quasi sparisce, mantenendo tre capoluoghi, il principale dei quali Campobasso) come parte integrante della coalizione di cui fa parte il Pd. Completano poi un quadro del quale è difficile definire i contorni esatti un Comune con un’amministrazione di centro, due sotto commissariamento e otto esperienze puramente civiche, nelle quali i principali partiti rappresentati in parlamento sono all’opposizione. Ma che finiscono, poi, spesso per essere bene o male attratte nell’orbita d’influenza delle coalizioni maggiori: come ad esempio è successo a Latina dove il sindaco uscente Damiano Coletta è stato confermato grazie anche al sostegno del Pd. O come l’esperienza di Federico Pizzarotti a Parma, nata ormai ben nove anni fa sotto le insegne del Movimento 5 Stelle e oggi ascrivibile a un’area che è indubbiamente più vicina al centrosinistra che non al centrodestra.