di Silvio Talamo
Nell’ambito del suono sta succedendo qualcosa e succede qualcosa di interessante in quel campo musicale fatto di culture ancestrali, melodie tradizionali ed influenze elettroniche di cui il dj Nicola Cruz è una delle punte di diamante. Nell’universo mainstream siamo abituati a pensare al remix come un’operazione attraverso cui si esplora il potenziale di una hit per presentarla al pubblico della dance. L’operazione di Nicola Cruz è diversa. Nato in Francia da genitori ecuadoregni imbastiti della cultura tradizionale di provenienza e trasferitosi bambino in Ecuador, Nicola ha da subito esplorato il mondo della musica cominciando poi a plasmare canzoni popolari, strumenti e risonanze tribali, ritmiche legate alle radici della sua terra originaria; tagliando e ricucendo samples, armonie, voci dal sapore atavico ed unendole alla potenzialità degli strumenti elettronici: drum box, sintetizzatori, delays, cassa in quattro. Ricordiamo il suo singolo Colibria (2015) uscito con la ZZKrecords e l’album Prender el alma sempre ZZK. La prima volta che mi sono imbattuto nella sua musica credo gugolassi intorno alle foci della deep house: quindi un Bpm non altissimo e aperto ad atmosfere acustiche. I suoi lavori sono ipnotici, psichedelici, amniotici, sempre fortemente evocativi e spesso connessi al ballo. Abbiamo ascoltato le sue tracce durante le sedute di ecstatic dance. Lo si ascolta dopo le cacao ceremonies, durante le conferenze sulle medicine naturali sciamaniche ed è ovviamente possibile assistere ai suoi live o rintracciarlo sui social. Su you tube sono postati i suoi dj set per Boiler Room, Sonar e altre celebrate pagine. Il punto è che dietro l’interesse verso i ritmi rituali esiste una cultura, una visione delle cose, liturgie e religioni indigene, saperi popolari, patrimoni di conoscenze da salvaguardare che si sposano ad un nuovo revival folk sudamericano vivo e creativo; un revival sottratto all’idea che ci siamo fatti della musica sudamericana: da quella di spessore a quella più commerciabile. Nicola Cruz, insieme a tutto un movimento, unisce, celebrandolo, un passato primitivo ad un presente tecnologico in una fibrillazione che dall’underground, eterno crogiolo di linguaggi, emerge fino a noi; se è vero ad esempio che anche la Native Instrument ha dedicato una pagina ed un documentario ai suoni dell’Ecuador, oltre che a diversi paesi dell’America latina. Nel gennaio del 2019 esce Siku (ZZK), l’ultima fatica di Cruz che ha continuato la sua sperimentazione coinvolgendo le musiche del globo. Il consiglio è di rimanere sintonizzati su queste nuove fusioni temporali, dove il passato ed il futuro, grazie alla musica, convivono nel ritmo.