Cambiano le linee guida per le cure in caso di infarto, andando nella direzione di un intervento meno standard e più basato sulla reale situazione del paziente. E aumentano le possibilità di diagnosi, aprendo la strada all’utilizzo dello smartwatch come alternativa di emergenza all’elettrocardiogramma. Sono alcuni dei risultati dell’eccellenza della ricerca italiana, presentati al congresso dell’European Society of Cardiology 2020 (ESC). Ogni anno nel mondo si registrano 15 milioni di infarti e nelle cure l’Italia è tra i Paesi che vantano i migliori risultati, con un numero di eventi avversi pari a 2 su 100 trattati contro 7 che si registrano in media a livello globale. E’ questo uno dei dati emersi dallo studio Dubius, condotto in 30 centri d’eccellenza italiani su 1.500 pazienti, volto a individuare il trattamento più efficace e sicuro nel caso di attacco cardiaco.
“Era necessario valutare in modo rigoroso le implicazioni cliniche dell’approccio più comune, il pretrattamento farmacologico applicato a tutti i pazienti fin dal primo sospetto diagnostico di infarto”, spiega Giuseppe Tarantini, presidente della Società Italiana di Cardiologia Interventistica (Gise) e ricercatore principale dello studio pubblicato sul Journal of the American College of Cardiology. Visto l’aumento del rischio di emorragie collegato all’utilizzo dell’antiaggregante, lo studio ne ha confrontato l’utilità di una somministrazione a tutti i pazienti con una strategia selettiva, ovvero solo dopo la certezza della diagnosi. Si è così osservato che una coronarografia eseguita dal polso entro le 24 ore dall’evento cardiaco incide sui risultati più di quanto faccia somministrare immediatamente la terapia farmacologica. In sostanza, sintetizza Giuseppe Musumeci, direttore Cardiologia dell’Ospedale Mauriziano di Torino, “serve un percorso personalizzato che individui la migliore strategia per il singolo paziente. Potremo così evitare a 80.000 persone l’anno una somministrazione a tappeto di potenti antiaggreganti prima della coronarografia, con una riduzione di potenziali effetti collaterali”.
Novità arrivano anche sul fronte della diagnosi. Uno studio pubblicato sulla rivista Jama Cardiology ha dimostrato che lo smartwatch può essere uno strumento utile per aiutare il medico a eseguire una diagnosi tempestiva di infarto, migliorando le possibilità di sopravvivenza. “Mettendolo in 9 posizioni sul torace può riconoscere l’attacco cardiaco con una sensibilità del 94%, pari a quella dell’elettrocardiogramma (Ecg) tradizionale”, che, a differenza dello smartwatch “non sempre è prontamente disponibile in caso di necessità”, spiega Carmen Spaccarotella dell’Università Magna Graecia di Catanzaro, coordinatrice della ricerca. La possibilità di individuare un attacco cardiaco in corso con rapidità può essere di grande aiuto, sottolinea Ciro Indolfi, presidente della Società Italiana di Cardiologia e autore senior della ricerca: “in caso di infarto, la tempestività è decisiva e gli smartwatch potrebbero essere d’aiuto per accorciare ulteriormente i tempi e salvare vite”. A conferma del ruolo preponderante svolto dalla cardiologia italiana, è arrivata anche la notizia nella nomina del nuovo direttore dello European Heart Journal. A ricoprire l’autorevole incarico, sarà per la prima volta un nostro connazionale, Filippo Crea, ordinario dell’Università Cattolica di Roma e direttore della Cardiologia del Policlinico Gemelli Irccs.